Il fruttivendolo sotto casa stamattina ha avuto difficoltà a trovare zucchine e pomodori, nella salumeria sono preoccupati per domani, se non dovessero arrivare le forniture. Una telefonata alla Tradeco conferma i sospetti: stamattina sono riusciti a scaricare alla Cisa di Massafra, ma sono ormai pieni e domani non si sa, perchè il blocco è arrivato anche lì. Quello che si rischia è avere i negozi vuoti e i cassonetti pieni.
Lungo la statale 106, nei pressi della raffineria, una fila di camion parcheggiati rallenta il traffico. E’ uno dei blocchi che in questo momento sta paralizzando l’Italia. A Taranto si incontrano da quasi un mese, i trasportatori aderenti al comitato Trasporto Unito: sono per strada da domenica sera e hanno intenzione di rimanerci fino a venerdì. La maggior parte è di Taranto, o della provincia, come Pasquale, di Martina Franca, che trasporta materie solo per un’azienda. Il popolo delle partite iva, i cosiddetti padroncini che, pur di lavorare, si mettono in proprio ma lavorano solo con la Cementir, oppure per l’ENI, oppure per l’Ilva.
“Fino a qualche anno fa” ci dice Gabriele, di Taranto, la barba tagliata a formare un disegno perchè così risparmia, “la licenza costava 40 milioni. Poi hanno liberalizzato e ci hanno tolto quello che per noi rappresentava il tfr“. Intorno a noi si forma un capannello, vogliono spiegare le loro ragioni. “Il problema è stata la liberalizzazione delle licenze, all’inizio, il fatto che ora basta acquistare un camion Euro5 per poter guidare. All’inizio non era così, mio padre ha dovuto garantire per me, io ho fatto gli esami per avere la licenza“. Poi c’è la questione del carburante, con il gasolio arrivato quasi ad 1,80 euro, le spese sono diventate quasi insostenibili. “L’anno scorso a gennaio il gasolio ci costava 1,10 euro a litro, ora i prezzi sono quasi raddoppiati“. Un camion costa 50 euro al giorno, se è fermo, ci spiega Albino di Napoli, che ha fermato la sua macchina anche se il suo sindacato, la Federazione Autotrasportatori Italiana (FAI) ha firmato con il governo un rimborso trimestrale di 12 centesimi a litro. “Stiamo lavorando, mica vogliamo fare la guerra” dice mentre spiega la sua situazione, “abbiamo visto il blocco e ci siamo fermati, anche se io sono un lavoratore dipendente“. Dipenderà dalla sua azienda se rimanere fino a venerdì oppure tentare di forzare il blocco e passare. La sua destinazione era Lecce, era partito da Napoli alle tre del mattino. Mentre parliamo un camion tenta i passare “La forza d’urto!” grida Gabriele: un bestione di centinaia di tonnellate che spinge per passare. Uno dei manifestanti si aggrappa allo specchietto, non deve assolutamente passare. Il camion fa manovra alla stazione di servizio, torna indietro, parcheggia. Scende l’autista, un siciliano che fa trasporti internazionali. “Volevo solo arrivare alla pompa di benzina” dice come giustificandosi, con proteste del genere non si scherza. Immediatamente il discorso va verso i Forconi. Gabriele gli chiede come mai lui stia lavorando mentre la Sicilia è bloccata anzi, fa fatto da esempio a tutti loro. L’autista appena arrivato dice che lui manca da casa da prima della protesta, quindi si informa dove può mangiare, ha appena scaricato ad Alberobello e ha fame. Il suo collega invece chiede per la stazione, per andare a Reggio Calabria.
(qui alcune foto)
Continua a parlare Gabriele: “Abbiamo difficoltà a lavorare, non perchè manca il lavoro, ma perchè il governo ci impone di rientrare negli studi di settore, pretendendo di sapere quanto dovremmo guadagnare di media al mese. Solo che non ha adattato questa richiesta al prezzo del carburante e dell’assicurazione. Inoltre paghiamo le tasse per 12 mesi anche se ci impone di stare fermi a Agosto e a Dicembre, oltre ai festivi“. Come tutti gli altri settori anche i padroncini hanno subito il cambiamento di atteggiamento della banche: non danno più fidi e per loro ci sono enormi difficoltà perchè, essendo per la maggior parte monocommittenti, subiscono le decisioni. “Prendi l’ENI, per esempio, che non ci paga da 150 giorni“.
In realtà quello che accade è che gli autotrasportatori, se lavorano in proprio, subiscono leggi spesso paradossali. Lo Stato impone loro di lasciare la patente a 65 anni di età, in evidente contrasto con la riforma sulle pensioni. Inoltre le aziende, come l’ENI o l’Ilva pretendono che si cambi la macchina ogni 10 anni, quindi circa trecentomila euro. Una categoria colpita non più duramente di tante altre, che subiscono scelte spesso infelici ma che si inseriscono in un filone ben più ampio. Come i pensionati, o i dipendenti pubblici che dovranno rimandare la pensione, oppure tutti coloro che hanno perso il lavoro. In più bisogna dire che lo sciopero dei tir, annunciato con un comunicato stampa del comitato Trasporto Unito del 18 gennaio scorso, rischia davvero di paralizzare un Paese la cui economia si fonda sul trasporto su gomma.
A Martina Franca si rischia come in tutti gli altri paesi, di avere i cassonetti pieni e gli scaffali vuoti, ma non possiamo che aspettare per capire come si evolverà la situazione.
Lascia un commento