MARTINA FRANCA – Elezioni Martina è ormai offline da quasi una settimana. Da una settimana Martina Franca ha una voce in meno. Poteva anche non piacere, ma era comunque un punto di vista e come tale, illuministicamente, aveva il diritto di dire.
La chiusura ha fatto notizia per qualche giorno, tanto che alcuni nostri lettori, diciamo il nostro critico più affezionato, ci ha rimproverato di essere “di sinistra” e quindi oscurantisti perchè non ne avevamo parlato (potete leggerlo direttamente nei commenti di questo articolo).
La notizia della chiusura di Elezioni Martina circolava da un po’. Se per un attimo questa notizia ci è sembrata poco verosimile, per il resto abbiamo reputato la storia vera, tanto vera da pensare che fosse strano che non sia accaduto prima. Secondo chi scrive Elezioni Martina sarebbe dovuto essere un progetto a tempo, da chiudere dopo le elezioni amministrative per rinascere con un nuovo nome e un nuovo obiettivo. Ma questi sono dettagli tecnici, che poco interessano i lettori, che comunque sono orfani di una testata con una linea editoriale riconoscibile e chiara. Rimane il fatto che una redazione non ha più un editore e un editore non ha più una redazione. Quali che siano i motivi veri (mancanza di soldi, complotti politici, ingerenze pesanti) prima che siano divulgati è bene che siano risolti.
Quasi contemporaneamente alla chiusura di Elezioni Martina, il Corriere del Mezzogiorno pubblica la storia di Net-Unotv, una web tv messa in piedi da due ex operai Miroglio e che nel giro di pochissimo è diventata una realtà importante, molto seguita, tanto da vendere i propri servizi anche a TeleNorba. La fortuna di questa esperienza è data dal fatto che è nata non solo intorno ad un progetto preciso (raccontare da dentro la storia dell’ex Miroglio dall’interno) ma ha fatto immediatamente riferimento ad una realtà specifica, un gruppo di riferimento. La web tv è nata con intorno già una comunità.
Da operai Miroglio a telegiornalisti sul web by
(qui l’editoriale radiofonico di Pagina Tre su questa storia)
La sfida dell’esperienza miroglina è vinta perchè ha avuto dalla sua qualcosa che le altre testate devono conquistarsi con il lavoro quotidiano: una comunità di riferimento. Una testata online deve creare comunità, la sua informazione è di servizio e la comunicazione è sociale.
Un po’ complicato in apparenza, ma nemmeno tanto.
Una testata funziona un po’ come una sorta di circolare interna: solo che l’azienda di riferimento è una comunità più o meno variegata che ha in comune alcuni particolari interessi, o tratti, o caratteristiche. Quando nasce una nuova impresa editoriale, uno studio di mercato fatto a monte indica già più o meno la strada. Questa è stata la fortuna de Il Fatto Quotidiano e la sfortuna di Pubblico (e di Elezioni Martina). Tutto sta nel capire a quale tipo di pubblico fare riferimento.
Ma il senso di comunità, una esperienza editoriale ha il dovere sociale di crearla. Questa creazione può essere fatta in maniera consapevole, inconsapevole o strumentale. Nella seconda ipotesi non si può far nulla, se va bene, bene, se va male pazienza. Nel primo caso invece si rischia tanto perchè si investe tempo (e denaro) e il risultato può non essere positivo (come il caso, che ripetiamo, di Pubblico, la testata di Luca Telese che si doveva rivolgere ad un pubblico di sinistra, ma che non ha considerato che il pubblico di sinistra, di solito, non ha soldi per comprare i quotidiani). Il terzo caso è quello più meschino, che ha contribuito alla costruzione di una cattiva reputazione per la categoria dei giornalisti.
Ovviamente a questo si aggiunge la difficoltà economica del settore, il cui modello economico di riferimento non ha più valore, non ha più senso. Chi si occupa di web sa benissimo che un’esperienza editoriale online non può utilizzare la leva delle vendite o degli abbonamenti, a meno chè non sia capace di creare molti contenuti di qualità, alcuni dei quali davvero esclusivi, da offrire ai lettori (la comunità) in cambio di denaro. Rimane la pubblicità, ma da sola non basta davvero a coprire le spese. Per due motivi: non è ancora chiara la portata e la potenza della pubblicità online e la crisi che taglia soprattutto su quanto si ritiene superfluo.
Un modello di business editoriale sostenibile non è stato ancora creato, o trovato. America On Line, la internet company per eccellenza, che qualche anno fa ha puntato su un’esperienza di informazione iperlocale, ha dovuto, ogni anno, rimpinguare le casse delle redazioni perchè la pubblicità da sola non sosteneva l’impresa (per chi fosse curioso, o per chi non avesse idee proprie e vuol copiare, il sito è patch.com).
Quindi, che fare? Ecco la terza lezione di giornalismo. Esso è impresa sociale, perchè si rivolge ad una comunità che si chiama pubblico e che deve ritenere utile sostenere l’impresa, attraverso forme diverse. Una è la pubblicità, ma come abbiamo visto non basta. Quindi rimane il dubbio: cosa?
Bisogna chiedere alla comunità.
[Qui le altre “lezioni”:
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