Le scuole di Martina: L'Italia ripudia la guerra. Resistenza, Società e Costituzione

MARTINA FRANCA –  Ieri durante le celebrazioni del 4 novembre, Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, i ragazzi delle scuole di Martina Franca, coadiuvati dai Dirigenti scolastici e dagli insegnati, hanno portato in piazza gli unici simboli di pace presenti in mezzo alle tante armi e alle luccicanti medaglie delle forze armate.

Lettere di soldati, storie di vita in trincea, di amori lontani persi nel tempo e nella polvere dei bombardamenti, di vite passate sull’uscio di casa in attesa di un ritorno. Storie di uomini chiamati Piero e ragazzini con armi a volte più grandi di loro, storie di  un esercito improvvisato che moriva in nome di un ideale e un obiettivo comune, difendere i confini italiani.

Documenti storici confermano la presenza di ragazzi di 14, 15 e 16 anni che presero parte alla Grande guerra che per l’Italia costò circa 700 mila vite e più di un milione tra mutilati e feriti gravi. Come poteva un ragazzo di 14 anni nel 1915 far proprio l’obiettivo della difesa del confine. Abbiamo perso una generazione di ragazzi, diventati uomini sul campo di battaglia, trasformati in strumenti di morte per un ideale imposto e non contenti l’abbiamo rifatto nel 1940.

Allora ecco che le due opere portate in piazza dai ragazzi del Liceo Artistico di Martina Franca assumono un valore particolare, in controtendenza forse, con quello che questa festa rappresenta. Due opere che riportano, con serigrafie di Andy Warhol, il grigiore della guerra e i vivi colori della pace, opere che sembrano voler assumere un impegno.

Il 4 novembre non è un giorno di festa, ma un giorno di lutto nazionale in ricordo delle vittime di tutte le guerre, una giornata che dovrebbe rappresentare l’Unità nazionale intorno a quei valori fondanti e fondamentali per la nostra Repubblica, come il ripudio alla guerra sancito dalla Costituzione con l’articolo 11. E la Costituzione è un documento scritto da essere umani inorriditi dal sangue sprecato inutilmente in due guerre mondiali e dalla violenza delle dittature europee.

E a ricordarcelo sono di nuovo i ragazzi delle scuole di Martina con uno striscione che riporta proprio l’articolo 11 e il tricolore italiano con tre parole chiave a rappresentare ognuna un colore: Resistenza, società e Costituzione. Come in un percorso, resistere per creare una società giusta fondata su dei valori costituzionali.

La pace come impegno concreto, ce lo chiedono i ragazzi delle scuole. Eppure il Governo italiano spenderà per il prossimo anno circa 27 miliardi di euro in armi, circa 50 mila euro al minuto. Quanto costa la pace, perché si spende così tanto quando oltre 10 milioni di italiani rasentano la povertà?

Le armi servono e sono sempre servite per difendere chi ha da chi non ha. Questo pensiero, che non è il pensiero di un pacifista esaltato dalla marcia Perugia-Assisi, appartiene ad un uomo che la Chiesa ha poi fatto Santo. Quando Francesco d’Assisi si spogliò restituendo tutto quello che aveva al padre, disse al vescovo d’Assisi: “Padre, se io ho, devo avere le armi per difendere quello che ho!”.

Contestualizziamo quel pensiero, oggi le armi servono a proteggere lo stile di vita del 20% della popolazione mondiale che consuma l’80% delle risorse del pianeta. Ma questi son dati che ormai conosciamo bene.

La memoria non dovrebbe essere solo un ricordo commosso, ma una vera e propria presa di coscienza, un impegno concreto affinché quanto accaduto non ricapiti più. Oggi, nelle guerre moderne, 9 morti su 10 sono civili. Si combatte per distruggere una nazione, un popolo, non un esercito fatto di combattenti addestrati. E per quale ideale?

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Commenti

2 risposte a “Le scuole di Martina: L'Italia ripudia la guerra. Resistenza, Società e Costituzione”

  1. Avatar Aldo Leggieri
    Aldo Leggieri

    Complimenti per il pezzo. Consiglio a MARTINANEWS di sfogliare la rivista online “juragentium.org”, molto interessante. Ci sono tanti ragazzi, negli ultimi 10/15 anni, che si sono formati leggendo le recensioni di autori di libri bellissimi apparsi su questa rivista di diritto internazionale e di politica globale. La manifestazione del 4 novembre è doverosa e assai significativa. Un abbraccio a tutti i ragazzi delle scuole. Ma vorrei fare un appunto circa l’art. 11 della Costituzione. Spesso e volentieri, come è giusto che sia, si fa riferimento al primo verso in cui è dichiarato che si ripudia la guerra. Bene. Ma sarebbe utile analizzare l’altro frammento dell’articolo in cui si prevedono delle limitazioni di sovranità da parte degli Stati ad un ordinamento più ampio, ecc…Ecco. Il senso delle parole e del dibattito che il sindaco ha posto in agenda sin dalla campagna elettorale dell’anno scorso e riproposto anche durante la cerimonia del 4 novembre, è proprio questo: l’Italia ha delegato dei poteri ad un’altra entità, e quindi limitando la sua sovranità di funzioni e di poteri? Certo che sì, ed è l’Europa. Ma l’Europa sta assolvendo oggi alle finalità sociali ed economiche per cui era nata dopo la seconda guerra mondiale? In parte sì, in parte no. Il sindaco ha detto, inoltre, in altre circostanze, che ormai è in Europa che si decide tutto. Infrastrutture, moneta, bilanci, politiche energetiche, ecc…Ma mi permetto di dire, come già feci notare a lui stesso, che gli Stati hanno ancora delle competenze, come dire, primarie in vari settori. Per esempio: il fisco. E lascio voi riflettere su ciò… Poi un’altra osservazione. Sempre il sindaco dice che l’Europa, così come è, non ci piace. Ed ha ragione. Si vedano i parametri di Maastricht, le politiche di austerità, le tecnocrazie, le grandi banche d’affari, il deficit democratico delle stesse istituzioni continentali. Bene. Anche perchè questa scure, a cascata, si ripercuote nelle politiche nazionali, nella revisione delle azioni di deficit spendig, nel ripensamaneto delle teorie keynesiane, nelle nuove impostazioni in tanti settori della spendig review, infine, nelle criticità degli spazi che i Comuni hanno per l’utilizzo di soldi pubblici, che in cassa ci sono, ma che non possono essere utilizzati. Il famoso patto di stabilità, o come qualcuno l’ha definito “patto di stupidità”. D’accordo. Ma perchè parlarne in modo negativo come se ci fosse piombato tutto addosso all’improvviso? E mi spiego. L’Europa. Non l’abbiamo voluta anche noi questa Europa? Con il manifesto di Ventotene o con le classi dirigenti politiche con la schiena dritta di un tempo? Certo che sì. Noi italiani siamo stati i fondatori dell’Europa. Non ci hanno annesso. Ma siamo stati i costruttori del nuovo continente e delle cosiddette e auspicate magnifiche sorti e progressive. Cosa voglio dire? Che, a mio parere, il dibattito deve essere rovesciato. Non subìto, ma governato. Va cambiata la prospettiva. Dal basso. Dalla base del cono che si parte per arrivare al vertice. Perché se, e questo è in generale, facciamo un ipotesi sbagliata avremo una tesi sbagliata. Se facciamo un ipotesi giusta, potremmo formulare una tesi sbagliata o esatta. E volete mettere come diventa interessante capire davvero lo scenario reale e realistico in cui troviamo? Saluti.

  2. Avatar Maria Ancona
    Maria Ancona

    Sicuramente gli amici di Martinanews e Aldo Leggieri leggono Foreign Policy (http://www.foreignpolicy.com/)… :-)
    Non so se gli estensori della Carta di Ventotene si riconoscerebbero nell’attuale Europa visto che la sovranità nazionale non è stata ceduta a vantaggio di un organo democraticamente eletto come il Parlamento Europeo, ma, per imperio di un Consiglio europeo formato dai capi di governo nazionali, si trova sottomessa a decisioni tecnicistiche che trapassano la vita della popolazione europea, in particolare della sua parte più debole e meno rappresentata attualmente nelle diverse assisi di rappresentanza, nazionali e internazionali.
    L’Europa dei Trattati di Maastricht e Lisbona (quando l’Europa veniva definita e voluta come il più grande mercato del mondo, ricordate?), delle spending review, di Frontex e Schengen… ha poco a che vedere con la “visione” federale di Spinelli e compagni che mira ad unire comunità e popoli a tutela della pace, piuttosto che governi intenti a non pestare troppo i piedi alle diverse lobby finanziario-economiche.
    L’art. 11 della nostra Costituzione non parla di pace, ma di guerra ed usa un verbo netto e deciso che ne prende definitivamente le distanze: ripudiare. Cioè: rifiutare, non riconoscere più come proprio qualcosa che pur è nostro o lo è stato fino a poco prima.
    Non poteva essere diversamente, come spiega bene Giuseppe Dossetti: la nostra Costituzione nasce all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, vero spartiacque della Storia dell’Umanità. E’ stato allora che la guerra ha cambiato decisamente volto e funzione: non più conflitto di eserciti, ma conflitto di popoli con l’escalation delle vittime civili che sono ormai la stragrande maggioranza.
    Non si tratta più di un campo di battaglia devastato e poi lasciato alla futura ricerca degli archeologi, come Canne in Puglia o Waterloo… Per vincere si bombardarono, all’una e l’altra parte, intere città… dove di solito vivono i civili.
    L’illusione di non aver avuto guerre in Europa dal ’45 ad oggi ha fatto credere che fossimo in tempo di pace… ma le guerre della ex-Jugoslavia negli Anni Novanta ci dovrebbero riportare con i piedi per terra e dirci delle nostre fragilità e di quanto falsa sia la nostra idea di pace a fronte della nostra ignoranza di fronte all’evoluzione della guerra contemporanea.
    Succede, perciò, che anche quando le nostre forze armate si trovano a combattere guerre di offesa in altri territori da quello italiano, si usi definire “di pace” le loro missioni. Diversamente ogni decisione governativa e parlamentare di approvazione di quelle missioni verrebbe definita inesorabilmente incostituzionale.
    Lo scenario reale e realistico in cui ci troviamo, caro Aldo, è che sul nostro capo già svolazzano abbondantemente droni la cui funzione e obiettivo non ci è dato sapere a pieno. Non c’è neppure bisogno di dichiarare guerra ufficialmente contro qualcuno… poiché tutto ciò che non sono “io” ed è “altro” può essere concepito come pericoloso e obbligarci all’attacco inteso come difesa (ossimo non più di quanto lo sia già stato la teoria e la prassi della guerra preventiva!).
    La guerra, quando non è ripudiata come pratica di relazione, non può che diventare uno stato permanente, a nostra costante e colpevole insaputa.

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