Progetto Curray 2016. Il Gruppo Speleologico Martinese in esplorazione in Albania (Parte 1)

Questo è il primo dei tre capitoli che saranno pubblicati nei prossimi giorni e che cercheranno di raccontare quanto il Gruppo Speleologico Martinese ha esplorato in 24 anni in Albania.  Buona Lettura.

Attraversa il mare senza che il cielo lo sappia” recita così il primo dei 36 stratagemmi di Sun Tzu, quel libricino che racconta quanto importante sia la strategia, la pianificazione di ogni azione che quotidianamente il mondo e le cose del mondo ci pongono davanti.

Ieri sera, 19 agosto, né il mare né il cielo sapevano esattamente quello che il Gruppo speleologico martinese si era messo in testa. Il paese dell’aquila bicefala da quando il gruppo lo ha attraversato è sempre stato là immobile, pronto ad attenderli, ad ospitarli.

Un amore quello che gli speleo martinesi hanno riservato all’Albania tra alti e bassi, come tutte le storie d’amore che si rispettino, che  dura da oltre 20 anni, 24 per l’esattezza.

Era il ‘92 e a riempirsi lo zaino di viveri e di attrezzatura quella volta furono Enzo Pascali, Michele Marraffa, Pino Palmisano e Franco Alò. Obiettivo: raggiungere la spedizione Karaburunit ‘92 in Albania.

L’Albania quella volta era un paese che aveva aperto da poco le sue frontiere e di  quei monti esistevano poche descrizioni, oggi introvabili, che fanno ancora testo, come “Montagne d’Albania” dell’alpinista Piero Ghiglione. Nessuna carta topografica a disposizione, perché erano coperte da segreto militare. Erano altri tempi e Google ancora non c’era.  Di quei lontani primi passi solo un massiccio si rivelò importante, il Mali me Gropa, ovvero la “Montagne a Buche”. Nel nome, un preambolo di potenzialità esplorative e sul terreno alcune grotte lunghe e profonde che oggi meriterebbero una nuova visita più accurata. Ma è proprio sulla  strada del ritorno, il cimento esplorativo culminò nell’immersione alla risorgenza di un vero e proprio fiume sotterraneo: il Syri i Kalter, che tradotto in italiano suona come l’“Occhio Blu”. Altro nome premonitore di una potente scaturigine idrica che fu discesa fino alla profondità di 45 metri dove un imponente galleria orizzontale si perdeva nel buio.

Poi, quella terra  al di la dell’Adriatico fu lungamente dimenticata dal GSM, un po’ per vicissitudini poco edificanti, un po’ per pigrizia condita di animo conservatore, fintanto che qualcuno, due anni fa, ha rimesso lo zaino in spalla e si è avventurato su nuove montagne, sui primi spalti delle bellissime Alpi Albanesi del Parco Nazionale di Valbona.  La nuova grotta in quel di Curraj i Eperm non fu affatto avara di scoperte e diverse centinaia di metri di gallerie furono esplorate fino alla profondità di circa 200 metri, mentre una chiara corrente d’aria che percorre ambienti ancora sconosciuti è indicatrice di pozzi e altre condotte che attendono qualcuno che le illumini per poterne dare una descrizione.

Con queste buone premesse e gli studi invernali condotti su immagini satellitari riguardanti altri gruppi montuosi albanesi, lo scorso ponte  del 25 aprile ha sancito l’occasione propizia per staccare gli ormeggi e veleggiare verso nuove conoscenze: la Montagna di Dejes e le forme glacio-carsiche d’alta quota.

La ciurma era composta da Michele Marraffa, Pasquale Calella, Pino Palmisano, Claudio Pastore, Mimmo Caldaralo, Orlando Lacarbonara, Donatella Leserri e Ciccio Lo Mastro.

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