Quando i papi maledicevano. A lezione di storia con Alessandro Barbero

 

Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi”. Cominciava così l’omelia tenuta da Paolo VI rivolta ai lavoratori dell’Ilva durante la notte di Natale del 1968.

Parte da questo ricordo di Don Franco Semeraro, Rettore della Basilica di San Martino, l’incontro tenuto sabato 22 ottobre, presso la Basilica di San Martino con lo storico Alessandro Barbero in occasione dell’uscita del suo nuovo libro edito da Giuseppe Laterza (presente in sala) “Le parole del Papa”.

Barbero, presentato dalla sempre attenta e dispensatrice di opportunità culturali per la nostra città, Anna Maria Montinaro (Presidentessa dei Presìdi del libro), ha così regalato alla numerosa platea un excursus storico dal Medioevo ad oggi, seguendo un percorso ben preciso che nel suo libro “Le parole del Papa” è tracciato brillantemente: da Gregorio VII con la scomunica all’imperatore Enrico IV a Francesco I con il suo linguaggio definito “irrituale”.

Quella che delinea nel corso della serata il professore torinese è una preziosa traccia per capire quanto profondi siano stati i cambiamenti della Chiesa nel corso dei secoli, una chiave di lettura, non l’unica sicuramente, ma un tentativo per chiarire periodi storici che hanno visto protagonista la chiesa e chi questa rappresentava nel mondo.

Fin da quando ero studente – ha esordito Barbero- sono stato colpito dal modo in cui si esprimevano papi e vescovi dell’epoca. Dai tempi nostri siamo abituati a una chiesa che si esprime sempre con cautela, incartando concetti anche sgradevoli in forme prudenti e melliflue. Nel Medioevo non era affatto così I papi maledicevano chi se lo meritava con tutta la virulenza di quella Bibbia che conoscevano a memoria, confezionando invettive memorabili che dovevano far venire i brividi a chi se le vedeva recapitare: e non stupisce allora se Enrico IV per farsi perdonare, sia rimasto scalzo nella neve per tre giorni a Canossa. Quando ho cominciato a pensare questo libro erano i giorni in cui papa Francesco aveva suscitato stupore, all’indomani della strage di Charlie Hebdo, commentando che se qualcuno avesse parlato male di sua mamma, lui gli avrebbe dato un pugno”.

 Un linguaggio, sottolinea Barbero, davvero inusuale per un papa, ma Francesco I si è reso protagonista anche di un altro episodio davvero agli antipodi con il linguaggio usato fino a quel momento dalla Chiesa in più di duemila anni di storia.

Il 25 luglio 2013, nella Giornate Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro utilizza il termine “lìo” che tradotto dallo spagnolo suonerebbe come “casino” e che, secondo L’Osservatore Romano, il papa ha trasfigurato dal suo significato originale. Il pontefice si rivolge ai giovani con: “Desidero dirvi ciò che spero come conseguenza della Giornata della gioventù: spero che ci sia casino. Qui ci sarà casino, ci sarà. Qui a Rio ci sarà casino, ci sarà. Però io voglio che vi facciate sentire nelle diocesi, voglio che si esca fuori, voglio che la Chiesa esca per le strade, voglio che ci difendiamo da tutto ciò che è mondanità, immobilismo, da ciò che è comodità, da ciò che è clericalismo, da tutto quello che è l’essere chiusi in noi stessi”.

La chiesa, che si fonda sulla parola nei segni e nei riti, comincia a utilizzare un nuovo linguaggio e oggi come in passato, dalle parole pronunciate dai pontefici si evince  la posizione che  questa aveva ed ha nel mondo.

I papi nel Medioevo– racconta Barbero- parlavano la lingua del proprio tempo e inoltre, erano sicuri di sé perché sapevano che la chiesa era stata creata per governare anche politicamente la società”, ma questa certezza sarebbe necessariamente entrata in conflitto prima o poi con il potere politico reale.

L’esempio citato dal professore è quello successo a Canossa vale a dire le due scomuniche ricevute dall’imperatore del Sacro Romano Impero, Ernico IV, a seguito della lotta per le investiture episcopali (disputa tra Papato e Impero riguardo a chi dovesse dare il titolo di vescovo ad un membro della società ecclesiastica).

Altro passaggio storico narrato da Barbero è stato la controversia tra Gregorio IX e Federico II, episodio raccontato per sottolineare il fatto che tutti dovevano obbedire al papa  e chi non lo faceva, ovviamente, era un eretico, e contro di lui si mobilitavano tutte le risorse di una sontuosa retorica biblica. Ne fu vittima, anche lo “Stupor mundi” cresciuto con un papa, Innocenzo III, incornato da un altro pontefice Onorio III, in cambio della promessa di partire per la crociata e un terzo papa, Gregorio IX, lo scomunica per costringerlo a mantenere la promessa.

La lettera in cui il papa annunciava la sua decisione, sottolinea lo storico, venne inviata in copia a tutti i sovrani e i vescovi del mondo cristiano: dimostrazione impressionante della capacità di lavoro della cancelleria pontificia e citava: “È salita dal mare una bestia piena di parole di bestemmia: infierisce coi piedi dell’orso e la bocca del leone, ha le altre membra come il leopardo, e apre la bocca per bestemmiare il nome di Dio.”

La bestia a cui il papa paragona tranquillamente l’imperatore è la bestia dell’Apocalisse e Gregorio IX, in dieci dense pagine, avverte i tutti i destinatari che le accuse mosse da Federico II in realtà sono solo bestemmie, perché rivolte contro il sommo vicario di Cristo sulla Terra.

Ma la grandiosa sicurezza di sé dei papi medievali comincia a scricchiolare con la nascita dello stato moderno e soprattutto con la Riforma protestante incarnata da Lutero. Il monaco agostiniano infatti, contraddice apertamente il papa con le sue 95 tesi che la leggenda vuole affisse alle porte della chiesa del castello di Wittenberg. Leone X non fece attendere la sua risposta e il 15 giugno del 1520 pubblica la bolla Exsurge Domine dove, a differenza di quello che si pensa, Lutero non viene scomunicato (per la scomunica bisognerà attendere l’anno successivo con la bolla Decet Romanum Ponteficem a seguito dell’atto provocatorio del frate tedesco di bruciare la sua copia dell’Exsurge Domine), ma “semplicemente” il papa lo richiama all’ordine chiamando in causa gli apostoli Pietro e Paolo. Proprio qui Leone X non dimostra che il frate ha torto, ma elenca i 41 errori che Lutero ha compiuto. Da adesso in poi con la Chiesa non si potrà più discutere,in altre parole, il papa difende a spada tratta la sua autorità nelle questioni ecclesiastiche.

Successivamente il mondo subisce numerosi cambiamenti e Barbero passa in rassegna il linguaggio dei papi che “si trasforma in patetico piagnisteo davanti alla sfida vittoriosa che la modernità, l’illuminismo, il liberalismo contrappongono alla tradizione nel Sette e Ottocento”, i papi che si succedono, infatti, si mettono sulla difensiva, “vedono che il mondo va alla deriva e dicono sempre di no, condannando le forze di questo progresso inarrestabile”. E allora diventa facile concepire l’enciclica Mirari Vos di Papa Gregorio XVI del 1832 con la quale si condanna il libero arbitrio, la libertà di stampa e il rinnovamento della chiesa. Gregorio XVI “riafferma così l’assolutismo ecclesiastico disegnando  una chiesa non umana, ma esclusivamente divina”, distaccandosi una volta per tutte dalle posizioni della borghesia intellettuale di allora e il rigetto convinto della linea dei cattolici liberali. Un papato trincerato nelle proprie convinzioni.

Un leggero cambiamento arriverà con Pio IX e soprattutto con Leone XIII quando il 15 maggio del 1891 pubblica l’enciclica Rerum Novarum con la quale, per la prima volta, la Chiesa Cattolica prende una posizione chiara sulle questioni sociali del tempo fondando la moderna dottrina sociale della Chiesa. In questa enciclica si parla di “capitale”, di “sfruttamento”, di “ore di lavoro”, di “operai”, di “capitalismo e socialismo” e Leone XIII  si pone esattamente a metà strada fra le parti in conflitto.

Ammonisce la classe operaia di non dar sfogo alla propria rabbia attraverso le idee di rivoluzione, di invidia e odio verso i più ricchi, e chiede contemporaneamente ai padroni di mitigare gli atteggiamenti verso i dipendenti e di abbandonare lo schiavismo cui erano sottoposti gli operai”.

Dare a ciascuno la giusta mercede. –si legge sulla Enciclica- Il determinarla secondo giustizia dipende da molte considerazioni: ma in generale si ricordino i capitalisti e i padroni che le umane leggi non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di trafficare sulla miseria del prossimo”.

Con l’inizio del “secolo breve” Benedetto XV resterà, assieme al suo successore, Pio XI un papa inascoltato, infatti, quando scrive la “Lettera ai capi dei popoli belligeranti” nel 1917 con la quale disegna la Grande guerra, come una sciagura, una inutile strage questa resta lettera morta anzi, molti paesi cattolici impegnati nel conflitto mondiale criticheranno il papa per la sua posizione. Stesso trattamento sarà riservato al Pio XI quando sul finire del suo pontificato finalmente critica il fascismo, la reazione del regime fu anche in questo caso spietata, Pio XI viene preso in giro e deriso, il papa e di conseguenza anche il papato perdono definitivamente la loro autorità. Non di certo le cose andarono meglio a Pio XII quando nell’inverno del ‘43 i tedeschi minacciarono l’arresto del pontefice.

Con il dopoguerra tutto cambia e grazie a “Giovanni XXIII la chiesa ritrova un linguaggio capace di parlare al mondo, accettando la sfida dei tempi nuovi” con l’enciclica Pacem in Terris del 1963, il Pontefice, si rivolge a “tutti gli uomini di buona volontà”, credenti e non credenti, perché la Chiesa doveva  guardare ad un mondo senza confini e senza “blocchi”, e non appartiene né all’Occidente né all’Oriente. “Cerchino, tutte le nazioni, tutte le comunità politiche, il dialogo, il negoziato”.

La chiesa comincia a ricercare ciò che unisce, tralasciando ciò che divide in  un mondo dominato dalla Guerra fredda e conteso tra capitalismo e socialismo. Giovanni XXIII parla di diritti: ogni essere umano è persona libera, soggetta di diritti doveri inviolabili: “il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.  Il Diritto di emigrazione e di immigrazione  perché ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse”.

Infine, Barbero ha concluso la sua lectio magistralis con una domanda a cui volutamente non ha dato risposta: Che i papi stiano  tornando alla forza e alla disinvoltura con cui erano soliti esprimersi i pontefici medievali?

Quel che resta di un sabato qualunque di ottobre è un professore di storia medievale, un’associazione, I Presidi del libro di Martina Franca, una lezione di storia e un  regalo a una città che troppe volte preferisce abbuffarsi e parlare a caso anziché sedersi per un attimo ad ascoltare.

 

 

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