Eva è ancora tra noi

di Angela Lacitignola, presidente aps Sud Est Donne

Oggi 8 marzo 2021, tutta l’attenzione dei media è su quella che, erroneamente, viene chiamata “La Festa della donna”. Mia madre, un tempo, dopo gli eventi tragici che coinvolgevano amiche, conoscenti e parenti, un tempo sospirava “Le hanno fatto la festa!”, intendendo “Hanno festeggiato sul suo corpo, sulla sua anima. Le è successo qualcosa di indicibile”.

La stessa situazione che oggi, ad un anno dall’inizio della pandemia, l’Osservatorio dei Centri Antiviolenza descrive come drammatica.

Sono i numeri a dirlo: dallo scorso anno, infatti, sono aumentate le richieste di aiuto delle donne causate da un’escalation di violenza derivante dalla costrizione alla convivenza, anche a causa della perdita del lavoro di uomini e donne. Inoltre, sono aumentati gli inserimenti in casa rifugio per la complessità e la veemenza delle violenze subite.

Dati che vanno comparati alla contemporanea diminuzione delle denunce e dall’aumentata percentuale delle donne che ritorna con il maltrattante.

Sono aumentate le denunce archiviate. Nelle aule dei Tribunali, antico baluardo di stereotipi e pregiudizi culturali di genere, le donne sono nuovamente trattate come Fiorella nel processo per stupro: “Ma ti è piaciuto? Non era la prima volta che avevi un rapporto sessuale? Volevi provocarlo. Volevi vendicarti”. Queste parole non sono echi di epoche passate, ma odierna quotidianità in una qualsiasi aula di Tribunale.

La frustrazione, l’impotenza, la rabbia e il rimpianto per aver dato inizio allo scempio delle dignità riempiono gli animi delle donne e delle avvocate che le difendono. Ecco la vittoria del potere anticamente concepito: far pentire le donne per aver parlato, denunciato, per aver desiderato la libertà per sé e per i propri figli. Sono ancora troppi i bambini e le bambine sottratte alle madri, accusate di essere “simbiotiche, incuranti, in relazione parassitante e fusionale“ con i figli.

La posta in gioco è alta. Quando il ricorso alla giustizia è ritenuto come un errore, si rende vano ogni altro servizio di contrasto alla violenza, a partire da quello operato dei centri antiviolenza. E rende vano il rischio di vita al quale le donne si espongono ed espongono i loro figli, nel momento in cui decidono di nominare quello che è loro accaduto.

Quelle che riescono a “resistere alla violenza istituzionale”, quelle che riescono ad attivare le mille risorse residue, sono ora alle prese con la violenza pandemica e con le sue numerose code. La pandemia ha svelato l’esistenza e la resistenza di arcaicità di pensiero: EVA è sempre presente. Le donne, oggi come ieri, sono colpevoli del peccato di Adamo, narrate come estrapolazione di un corpo maschile, dal quale vengono definite, cacciate, relegate in un “fuori” che assume mille dimensioni.  Nessuno fitta una casa ad una Eva sola con figli: Eva non può offrire garanzie perché non ha un lavoro stabile. E nessuno da un lavoro stabile ad Eva sola con tre figli perché “il lavoro è poco”, e perché Eva non può garantire la presenza costante!

Eppure, credo ancora nello straordinario processo delle alleanze positive, quelle che generano benessere, energia, cambiamento a partire da sé: quella straordinaria consapevolezza della ribellione che ha creato le precondizioni perché tutte avessimo pari diritti e opportunità. Le alleanze di fiducia tra le donne costituiscono le barricate verso un mondo che le ignora a partire dai loro corpi, oggetto ancora di bottino, di stupro e di annientamento. Sono le nostre alleanze che ci salveranno, le alleanze che caratterizzano e promuovono le relazioni orizzontali, il nostro esserci con “la massima autorità e il minimo potere”, come da più di 50 anni ci ricorda Hannah Arendt. Buona alleanza sorelle!

Quali sono i dati del Centro Antiviolenza di Martina Franca del 2020?

Nell’ambito territoriale di martina Franca –Crispiano hanno fatto accesso nel 2020, n. 51 donne.

Il 69,9% delle donne si rivolge spontaneamente al CAV; nella parte restante, 30,1% dei casi, l’invio è fatto da parte di altri servizi, in particolare i Servizi Sociali (24%) e le Forze dell’Ordine (11%)., la percentuale più alta di accesso spontaneo (75,5%). nell’89,8% dei casi le donne sono di nazionalità italiana. Così come rilevato in tutte le annualità precedenti,  la violenza sulle donne risulta trasversale alle fasce di età, ai titoli di studio e alla condizione lavorativa, con incidenze superiori in età compresa fra i 30 e 49 anni (58,4%).

Le donne pugliesi più esposte alla violenza risultano essere le coniugate (44,6%), seguono le donne nubili (26,2%) e le donne separate/divorziate (21%).

Il titolo di studio prevalente delle donne che si sono rivolte al CAV nel 2020 è la licenza di scuola media inferiore (38,5%); segue il diploma di scuola media superiore (38,7%). Le donne laureate sono il 14,6%

Solo il 27,6% di queste donne ha un’occupazione stabile (-6% rispetto al 2019) a fronte del 44,8% di donne senza occupazione (casalinghe e/o non occupate) e del 18,4% di donne con un’occupazione precaria e, quindi, con una fonte di reddito incerta.

Il 73,2% delle donne ha figli, di questi il 60,5% è minorenne

Nell’80,8% dei casi, infatti, gli autori della violenza sono prevalentemente il partner (includendo coniugi e conviventi) e l’ex partner.

Il “partner attuale” è l’autore di violenza nel 53,3% dei casi mentre gli “ex” continuano ad agire violenza, nonostante la chiusura del rapporto, nel 27,5% dei casi.

I familiari risultano autori della violenza per il 12% dei casi; i datori di lavoro/colleghi/conoscenti per il 5,8%; gli sconosciuti per l’1,2% .

Solo il 35 % ha sporto denuncia, percentuale in discesa rispetto allo scorso anno.  Solo per il 14%dei casi vi è una presa in carico integrata dei servizi.

Invece meriterebbe senza dubbio un approfondimento il dato del 19,9% di donne che hanno “rinunciato al servizio”. In questa percentuale di donne che si sono allontanate dal CAV rinunciando al servizio, il 54,7% ha fatto rientro nel nucleo maltrattante.

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