*di Vincenzo Salamina e Domenico Carriero
Riccardo Fogli, con il cofanetto “Predestinato (Metalmeccanico)”, contenente libro, cd e audiolibro, ci racconta la sua infanzia a quarant’anni dalla vittoria sanremese con “Storie di tutti i giorni”.
Riccardo, da dove nasce l’idea di questo cofanetto?
In tempo di Covid tu scrivi e ascolti musica; puoi fare anche altro, come fare figli, ma poi dici basta ne ho già due [ride]. Marco Rossi, mio editore di Azzurra Music, mi ha proposto di rivisitare alcuni miei successi con il maestro Ottolini e di accompagnare il cd con una trentina di paginette autobiografiche in cui avessi raccontato qualcosa di inedito. E ho parlato dell’infanzia e dei sogni del mio papà che, essendo metalmeccanico dopo la guerra, lavorando alla Piaggio a Pontedera, pregava affinché anche io diventassi metalmeccanico come lui. Da lì sono partito raccontando i miei anni più belli.
Nel raccontarli hai snocciolato tanti ricordi che hai ricostruito, essendo tu la memoria storica della tua vita, non essendoci più i testimoni che ti hanno visto vivere quel periodo. Come è stato compiere il viaggio nei ricordi?
Mi sono messo a guardare le fotografie che ho miracolosamente trovato dalla compagna del mio fratellone che non c’è più. Guardando quelle foto si sono aperti i cassetti dei ricordi che avevo murato e chiuso. Accanto ad ogni foto nasce un capitolo che porta ad altri ricordi di quando avevo pochi anni di vita perché probabilmente con i mie genitori e mio fratello ne abbiamo parlato. Mi sono impegnato tantissimo a ricordare, piangendo, emozionandomi, smettendo e ricominciando, per raccontare queste centocinquanta pagine di vita mia vera, senza scandali ma con la rivolta dentro. Se tu nasci metalmeccanico predestinato, una parte di te non ci sta ed è incavolata con il mondo che già sessanta, settanta anni fa, privilegiava quelli che stavano bene perché erano profumati ed avevano i vestitini belli. Mamma mi mandava a scuola in ordine, mi controllava le orecchie, mi dava un po’ di dopobarba di papà ma io ero un bambino povero figlio di metalmeccanico e predestinato metalmeccanico.
Infatti nel libro parli di dignitosa povertà. E sono tanti gli episodi che rimangono impressi e che fanno capire come in quel contesto la vita possa essere dura già da bambino. Mi riferisco ad esempio a quando racconti che la gallina e il coniglio non erano solo compagni di gioco ma anche cibo.
La mamma andava al mercato e non comprava mai una gallina grande, ma sempre un “conigliolino” o una “gallinina”, come diceva lei, in modo da farli crescere bene. A questi animali davo nomi di fantasia ed erano diventati di famiglia. Poi succedeva che una mattina mi svegliavo e cercavo il coniglio Fuffy, ma questo non c’era più, piangevo dalla mamma dicendo che se ne era andato. E la mamma diceva “Nini, è successo un guaio, il coniglio era vecchio, l’ho comprato a poco perché era vecchio, ed è quindi morto di vecchiaia”, ma io non ci stavo e dicevo piangendo “ma no! era giovane”. Mio fratello, che sapeva la verità, rideva. Alla fine mia mamma concludeva dicendomi che non aveva buttato via il coniglio ma che l’aveva fatto a pezzettini in modo da potercelo mangiare. Io poi me ne facevo una ragione e mangiavo. Per la gallina invece la mia mamma la faceva lessa e io vedevo spuntare la sua testa dal pentolone con le carote e la cipolla vicino. Io incredulo chiedevo alla mamma perché fosse lì la gallina e lei paziente mi diceva “Ma lo sai che è successo? La gallina aveva freddo e si è spogliata delle penne e si è messa nel pentolone; mano mano si è addormentata e il fuoco è diventato alto e si è cotta. Non so cosa dirti”. E ce la mangiavamo. Questa era una meravigliosa infanzia.
Nel cofanetto, oltre al libro, anche il relativo audio libro. Perché questa scelta?
E’ successo che nell’ultima riunione in programma a casa mia c’era il mio direttore artistico, il mio editore Marco Rossi e Michela Sangiorgi che mi ha dato una mano a fare ordine nel libro. Mentre leggevo le centocinquanta pagine di fila, dopo un po’ di pagine il mio discografico mi ha detto “il libro raccontato da te è come vederlo. Secondo me dobbiamo pensare di fare un audio libro in cui sei tu a leggere perché la credibilità nasce dal fatto che tu fai una voce tenera quando parli di anni teneri e fai altre voci quando parli di altri concetti della vita”. Con microfono, cuffie, libro davanti e un po’ di lacrime, in un giorno lo abbiamo letto. E’ stata una esperienza bellissima.
Per completare l’opera anche un cd, raccolta di alcuni dei tuoi grandi successi, riarrangiati con l’orchestra del Maestro Ottolini. Si tratta di brani che ricadono in tre diversi periodi musicali della tua vita. Il primo periodo è quello dei Pooh (“In silenzio”, “Piccola Katy”, “Noi due nel mondo e nell’anima”, “Pensiero”, “Tanta voglia di lei”, “Pierre”). Quale è stato il lascito dei Pooh al patrimonio musicale italiano?
I Pooh, con quel gran genio di Valerio Negrini, hanno toccato tutto ciò che di sensibile e di umano ci gira intorno. Non c’è una storia d’amore felice o sfortunata in cui Valerio non abbia infilato la penna: “Tanta voglia di lei” parlava di un uomo che diceva “mi dispiace devo andare, il mio posto è là” ma c’è anche “Noi due nel mondo e nell’anima”, l’uomo che dice alla donna che lo vuol lasciare che “la verità siamo noi” che “sono quello che respira piano per non svegliare te”. Io ho cercato nelle mie canzoni di ispirarmi a Valerio ma lui, insieme a Mogol, Bigazzi e a pochi altri, è stato veramente un genio.
Il 30.12.2016 l’ “Ultimo abbraccio” dei Pooh a Bologna. Ma è vero che quando vi incontraste nel giugno 1966, ossia quando tu eri parte degli Slenders e fosti chiesto dai Pooh per passare da loro, gli Slenders dissero “vi prendete Riccardino ma vi accollate anche le cambiali del pulmino”?
Certo! Noi eravamo quattro metalmeccanici, tre dei quali con mogli e figli, e uno studente. Il sabato e la domenica riuscivamo a guadagnare qualcosa ma c’erano le cambiali degli strumenti e del pulmino che usavamo per spostarci e per trasportare gli strumenti. Quando ci incrociammo con i Pooh, ci chiesero di spostarmi con loro, ma io dopo qualche giorno dissi loro “io il gruppo ce l’ho, e poi ho un lavoro, sono gommista, io sono metalmeccanico”. Facemmo allora una riunione con i Pooh e il più grande degli Slenders disse “noi vi diamo Riccardino ma vi dovete comperare anche il pulmino” [ride]. E poi lo pagammo, perché ero diventato Pooh!
Il secondo periodo è quello dei grandi successi da solista (“Che ne sai”, “Malinconia”, “Per Lucia”, “Io ti prego di ascoltare”) in cui primeggia “Storie di tutti i giorni”, vincitrice di Sanremo 1982, che quest’anno compie quarant’ anni in una veste nuova. Come nasce questo brano e pensavi potesse riscuotere così tanto successo?
“Storie” nacque da un lavoro di gruppo che vedeva me, Maurizio Fabrizio, Guido Morra e Giancarlo Lucariello, nostro produttore. Maurizio portava degli spunti, io e Guido buttavamo giù un’idea di testo: questo aiutava la musica e viceversa. Lucariello decise di fare Sanremo con quel brano, togliendolo dall’album, quindi io e Guido lavorammo al testo per delle settimane perché il nostro vero hobby era giocare a tennis da tavolo! Con grande sintonia scrivevamo, mescolavamo, sceglievamo, a volte anche per telefono. Il genio era lui, io ero più pop, più popolare, ero quello che scriveva “ed è malinconia”, lui era più pindarico, più colto ma io sapevo quando bisognava trovare la parola chiave che si sarebbe memorizzata facilmente. Anni belli. Poi un anno fa Marco Rossi mi ricordò che erano passati 40 anni da quel Festival, una vita di concerti suonati in tutto il mondo perché “Storie” è una delle canoni più importanti nei paesi dell’Est. Dico Est perché nel 1985-1990 si andava a suonare a Kiev, a San Pietroburgo e a Mosca come si andasse a Milano o a Palermo. Questa canzone lì è stata cantata da tutti: dieci anni fa sono stato a un “Tale e Quale Show” a Mosca e c’era un cantante ucraino che con lo smoking, proprio come me 40 anni fa, interpretaba “Storie” che poi abbiamo cantato assieme.
Il terzo periodo è quello più recente (“La tenerezza ‘93” dedicata al figlio Alessandro, “Maledetto l’amore”, l’inedita “Gli angeli hanno i denti bianchi” dedicata alla figlia Michelle) dove trova posto anche “Mondo”, tuo successo del 1976 reinterpretato nel 2020 con il tuo “fratellino” Dodi Battaglia. Cosa c’è dietro il termine fratello?
Significa aver vissuto momenti complicati e bellissimi per poi vivere ognuno la sua vita, con la sua velocità, ognuno con la sua bravura e poi ritrovarsi in reunion e cantare le canzoni assieme. Abbiamo passato 8 mesi in albergo: io stavo di fronte alla camera di Dodi e lui mi prendeva in giro e mi diceva esen (asino), perché dove suona Dodi non c’è più spazio per un chitarrista come me, ma lui mi trovava delle posizioni che non andassero in competizione con le mille cose che faceva lui. Il sabato e domenica loro tornavano a casa e io stavo in albergo con le canzoni appiccicate al muro a studiarle e avevo gli applausi in corridoio degli addetti dell’albergo. Ho vissuto dei mesi infernali ma bellissimi.
Non deve essere stato facile decidere la tracklist del cd contenuto nel cofanetto. Quale è stato il fil rouge che ha unito i brani scelti?
Potrei dire la tenerezza, l’amore, il dolore, il dubbio. Sì, il dubbio perché alla fine scrivevo “Storie di noi brava gente che fa fatica, s’innamora con niente, vita di sempre, ma in mente grandi idee”. La curiosità, il cercare di capire cosa hai dentro, cosa hanno le persone, perché si soffre, perché si tradisce, perché si ama: tutto questo lo trovi a pezzettini nelle mie canzoni.
Grazie Riccardo per aver condiviso questi ricordi con noi.
Grazie a voi e un saluto agli amici di Valle d’Itria News.
*Vincenzo Salamina e Domenico Carriero sono appassionati di musica e portano avanti un format su Youtube (che potete seguire qui), Facebook (raggiungibile da qui) ed Instagram (music.challenge321) chiamato Music Challenge, nel quale trasmettono in diretta le loro interviste. Con ValleditriaNews condividono amichevolmente le interviste a musicisti e artisti noti o meno della scena musicale italiana.
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