Moda, tessile e abbigliamento: il Presidente della sezione di Confindustria Taranto, Martino Filomena: “Comparto a rischio, mancano competenze strategiche, in primis tagliatori e cucitori. Il nostro appello è ai decisori politici e agli istituti di istruzione secondaria, affinché presentino un’offerta formativa ritagliata sulle reali necessità delle aziende”:
“Il distretto tessile della provincia di Taranto, già segnato, nell’ultimo decennio, da profonde trasformazioni, evidenzia al momento attuale una crisi dovuta soprattutto alla carenza di figure specifiche, in particolare tagliatori e cucitori. Occorre implementare e rafforzare la formazione per consentire al mercato di riappropriarsi di queste figure professionali fondamentali per la competitività delle aziende di tutto il comparto”.
A lanciare quello che costituisce a tutti gli effetti un allarme, in quanto questione trasversale ad un intero comparto, è Martino Filomena, presidente della sezione Moda Tessile e Abbigliamento di Confindustria Taranto.
La carenza di cui parla Filomena ha cominciato a radicarsi dapprima con il fenomeno della delocalizzazione, che ha contraddistinto il settore da diversi lustri (per poi registrare gradualmente un rientro delle produzioni, il cosiddetto reshoring), per poi subire ulteriori e pesanti ricadute nel periodo Covid e post pandemia, che ha completamente ridisegnato le sorti di molti comparti strettamente legate a competenze specifiche e, come nel caso del tessile, di tradizione.
“Il Mezzogiorno, e in particolare proprio il distretto jonico – aggiunge Filomena – ha una storia ultracentenaria legata a queste figure professionali, pressoché introvabili altrove. Ma è evidente che se queste professioni non vengono tramandate da generazione in generazione è probabilmente perché manca anche una adeguata formazione che possa qualificare queste figure dando loro il giusto peso sul mercato”.
I numeri sono quelli che probabilmente rendono meglio il fenomeno in atto. Se alla fine degli anni ’90 tali competenze – a Taranto e provincia – si attestavano intorno alle 9mila unità, adesso si parla di 2mila, massimo 2.500 addetti. “In Toscana, per esempio – spiega Filomena – le filiere della moda si verticalizzano acquisendo i fornitori strategici, sottraendo spesso risorse alle aziende del Mezzogiorno. Lo scenario che si presenta al Sud, sebbene anche qui risiedano grandi brand dell’italian style, è invece diverso perché le realtà meno dimensionate e meno strutturate soffrono molto di più queste carenze. Se a tutto questo si aggiunge la crisi complessiva del tessile- aggiunge il Presidente della sezione tessile abbigliamento di Confindustria Taranto – che sebbene in ripresa non è ancora riuscito a recuperare quel gap del 20% di fatturato in meno rispetto ai livelli pre-Covid, si può comprendere come la formazione debba diventare un must imprescindibile. Penso agli istituti di istruzione secondaria, in particolare, e ancora una volta invoco un maggior coinvolgimento delle aziende per organizzare i percorsi di offerta formativa, così come torno a ribadire, come già fatto in altre occasioni, che il Made in Italy va tutelato e rafforzato, attraverso strumenti di agevolazione fiscale per le aziende che portano avanti attività produttive sul loro territorio 100% made in Italy e – perché no – anche incentivi per il cliente finale che viene incoraggiato all’acquisto. Quello della tutela del nostro brand è un obiettivo fondamentale da raggiungere. Se crescesse il brand – conclude Filomena – tutto il sistema accrescerebbe il suo valore, e le ricadute positive investirebbero l’intera filiera e tutte le sue componenti”.
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