Attualità di un pensiero. Prorogata la mostra su Manuel Campus

Attualità di un pensiero: 1983-2023. Manuel Campus e il discorso sulla violenza. Un discorso impegnato, coerente, globale. La mostra dell’artista è prorogata fino al 3 settembre, presso “la Pietra” arte contemporanea in Palazzo Stabile:

La violenza all’uomo e quella dell’uomo sull’uomo. La violenza della società, cioè di tutti noi, nei confronti dei più deboli, i bambini, i vecchi, le donne. La violenta in politica e nel costume, nelle grandi come nelle piccole cose. La violenza male insidioso che serpeggia nel corpo sociale, che ne rode il tessuto giorno per giorno, momento per momento e cresce, dilaga, avanza anche con le complicità espresse o tacite delle nostre pigrizie morali, della nostra incapacità ad opporci, della nostra indifferenza.

E crediamo che rifugiarsi nel privato, chiudere la porta al mondo di fuori, negarsi al sociale possa servire. Invece non è così; perché la violenza che cerchiamo di cacciare dalla porta entra poi dalla finestra, si insinua nelle nostre case permea i discorsi quotidiani, pervade i momenti esistenziali, travalica e lacera i nostri figli.

Tutti colpevoli e perciò stesso tutti assolvibili dal momento che nessuno è fuori dalla sarabanda, dal giro infernale?

Certamente no. Manuel Campus lo sa.

Nelle sue opere emerge il momento della denuncia, la pittura si fà cronaca e il racconto procede con impeto si snoda con foga, assume toni epici.

L’uomo torna ad essere motore e centro dell’universo ma non in una statica ed immota concezione rinascimentale quanto nella proiezione dinamica della nostra storia, quella scritta con il sangue e scandita dalla morte.

Ma il dramma e la tragedia non possono esaurirsi in se stessi. Certo esistono ontologicamente, per la loro stessa realtà nel processo della storia, ma non sono tutta la storia nella sua interezza perché la storia dell’uomo è cammino, è itinerario, è viaggio cominciato prima che il tempo fosse ed è destinato a consumarsi con il tempo. È cioè cammino di eternità.

Questo senso dell’eterno, che pervade la pittura di Manuel Campus è anche il segno della sconfitta della Morte e del trionfo della Vita. Nasce cioè e si forma una visione salvifica affidata all’uomo e che l’uomo è destinato a realizzare in termini di redenzione. Perché questa è la sua missione; perché il compito affidatogli non può essere rifiutato e perché ancora negarsi a tale prospettiva significa negarsi all’umanità.

Il momento della denuncia è aspro e violento. Il linguaggio del segno e di contenuti pittorici si intersecano, si inseguono, si ritrovano e si allacciano in legami profondi, tenaci, misteriosi. Il racconto prende corpo, si fa storia, ripropone il suo messaggio e diventa momento autonomo di storia.

C’è anche la tensione dell’antistoria, cioè la mortificazione dell’uomo, il soggiacere al gene di Caino da parte di Abele, la spettacolarità delle forme attraverso le quali la violenza da sempre è anche diminuzione della dignità dell’uomo come persona umana. Ma Abete è destinato a vincere.

Certo soffre privazioni, umiliazioni: il suo ruolo appare diminuito dal prepotere degli atti di violenza sino all’estremo dolore della

morte. Ma il trionfo del Male è episodico, occasionale, provvisorio, precario. Perché altre logiche sopravvengono perché è immortale lo spirito dell’uomo, perché un ostacolo alla prevaricazione morale e fisica è costituito dallo stesso ruolo della vittima che è sempre più grande di quello del carnefice.

Le vicende legate al messaggio artistico possono essere interpretate e valutate solo in termini pittorici?

Manuel Campus dice di no. Non è il problema estetico che lo interessa. Lo affascina e lo travolge invece ciò che c’è da dire ed egli realizza questa spinta morale con l’urlo delle vittime, con la impaginazione in un certo senso michelangiolesca nella quale i toni epici sono intimamente strutturati alle situazioni pittoriche. E se, in un monocromismo da graffiti, urlano le vittime predestinate alla violenza tragica, sono muti ma non meno implacabili accusatori quelli che subiscono altre e non meno clamorose violenze, gli emarginati, i vecchi.

Una società efficientissima come la nostra non ha tempo né spazi da dedicare a quanti non sono inseriti nei meccanismi produttivi e cioè i bambini ed i vecchi. La falsa coscienza del nostro tempo ci porta a ritualizzare l’anno internazionale del fanciullo. E per tutti gli altri anni a venire, per tutti quelli che sono stati e non saranno più che cosa potremo dire di aver fatto o meglio di non aver fatto? E insieme ai bambini, i vecchi. Soprattutto questi ultimi lasciati a languire negli ospizi, depositati come ingombri fastidiosi, affidati ai meccanismi colpevoli della memoria che, complice il tempo, tutto dimentica. E i fasti delle vacanze, anch’esse ispirate al mito dell’efficienza sportiva, dell’aria aperta, dei campeggi, del moto a tutti i costi diventano occasioni e alibi per la nostra cattiva coscienza.

“Vedrai che starai benissimo. Appena torniamo dalle vacanze veniamo a riprenderti. Lo facciamo per te, per non farti stancare”. Il meccanismo della Grande Bugia si mette in moto cosi con sfacciata improntitudine.

Inanelliamo menzogna su menzogna ed abbiamo la faccia di gesso delle maschere che pretendono di dire cose vere. I vecchi sanno che non è vero e stanno al gioco.

I non vecchi si ritengono furbi ed astuti e non sanno di dare il via ad una logica crudele che, così com’è non risparmia nessuno. Perche diventare vecchi, essere considerati inutile, fastidiosi, di ingombro è solo un fatto generazionale. Ce una logica non astratta di vendetta in questo meccanismo che trasforma i furbi di oggi nelle vittime di domani. È solo questione di tempo. Le vacanze finiscono, si torna a casa, ma il vecchio continua a rimanere all’ospizio. Tanto, sta bene, diciamo. E le visite diventano sempre meno frequenti sino allo oblio totale come se ogni giorno bevessimo una goccia micidiale attinta alle sorgenti del mitico fiume Leto, il fiume dell’oblio.

Manuel Campus con la sua pittura si batte contro tutto questo. E noi siamo con lui. Fraternamente. Da sempre. Per sempre.

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