Personale dell’artista Maya Kokocinschi “dell’Icona, del Sogno”

Galleria d’arte “la pietra”

dal 01 al 31 luglio 2018

personale dell’artista Maya Kokocinschi “dell’Icona, del Sogno”.

Pitture di Maya
Strano questo miscuglio di ritualità cinquecentesca, quasi una memoria che resuscita suo malgrado fra le pieghe della memoria e nello stesso tempo la insistita testarda voglia di fermare la figura di una donna di oggi, dai tratti moderni, basati su una idea di bellezza priva di asprezze e di inganni.
Una per una, queste facce femminili sembrano risaltare nella pietra di una parete inchiodata dal tempo. Le vesti sono invisibili, il corpo cancellato. Rimangono le teste, sole e nude, e si mettono in mostra con una strana fissità nervosa, rivelandosi soltanto attraverso l’uso misterioso e cifrato dei copricapi che indossano.
Guardando meglio si capirà che il segreto sta proprio in quei copricapi dal linguaggio cifrato. Più che coprire, indicano, puntualizzano, denotano qualcosa che riguarda l’esoterico stare al mondo di creature dalla testa mozza, le labbra coralline e gli occhi fissi, febbrili.
Ma cosa vogliono dire quei leoni dorati, quelle civette in bilico sopra un’altalena, quei suonatori di flauti in corsa, quei torsi amputati di mani e di piedi, quei cavallucci marini, quelle corone, quegli angeli, quelle donne affogate?
Il linguaggio arcano delle teste mozze per fortuna viene interrotto volta a volta da quadri meno rigidi e inquietanti: ed ecco che appaiono alcune tele che si aprono su paesaggi riarsi, dal vago ricordo rembrantiano. Tele dal tono quasi narrativo, quelli che io preferisco: una madre che cinge la vita di una figlia incinta, visibilmente corrucciata, con una treccia che le circonda la pancia come una serpe punitiva, una donna che esce da un turbine di

nuvole, una minuscola sirena che si abbevera al seno di una truce e ieratica regina, una sognante addormentata davanti a una nuvola di gas.
Che storie raccontano queste immagini segrete che sembrano volerci dire tutto senza rivelarci niente?
L’errore mi rendo conto, sta nel voler interrogare a tutti i costi i quadri che ci attirano. Bisogna pazientemente prenderli con sé attraverso uno sguardo attento e disponibile e poi chiudere gli occhi e nel buio delle palpebre rivederli come i fotogrammi di un film che scorre. Il film si disfa, si fa acqua, fruttio, pensiero, parola, corpo che si disfa e va.
A questo punto l’incantesimo ha preso i suoi tempi e ti trascina nel mondo della compiutezza estetica.

Dacia Maraini
Roma, 3 maggio 2018

Maya Kococinski, nasce a Santiago del Cile, nel 1970, naturalizzata italiana. Figlia dell’artista Alessandro Kokocinski e dell’attrice argentina Prudencia Molero. Respira arte fin dalla più tenera età, ma i suoi interessi sembrano indirizzarsi verso l’archeologia, psicologia e paleontologia. Un anno sabbatico a Londra prima dell’università le apre gli occhi sulla sua vera vocazione per l’arte. La formazione accademica londinese, non la convince però a pieno, come non crede che l’arte debba ripartire da zero, dimenticando il passato. Riscopre le sue radici, la pittura dei maestri, la passione per la tecnica tradizionale e, da artista concettuale diventa pittrice Il suo interesse si concentra sull’essere umano: visi, corpi, ritratti, sguardi. Non sono rappresentazioni iper-realistiche, ma piuttosto analisi psicologiche, specchio di sentimenti ed inquietudini essenziali.
Ha iniziato ad esporre nel 1997 alla Fundacion Internacional JorgeLuis Borges a Buenos Aires. Lo stesso anno Oliviero Toscani ha presentato una sua mostra alla Watatu gallery di Nairobi. Nel 1999 ha esposto all’Istituto Italiano di cultura di Addis Abeba e alla galleria di Sara Garcia Uriburu, di Buenos Aires. Nel 2004 all’Istituto di cultura di Bruxelles e alla Lotus Lifestyle Gallery di Bangkok. L’anno successivo al Museo dell’Agua di Lisbona. Tra le collettive si ricordano Antologia della figurazione contemporanea-Italia. Le ultime generazioni Teckne int. Figurae, Milano. L’inquietudine del volto, da Lotto a Freud, da Tiziano a De Chirico, curata da Vittorio Sgarbi, Lodi. Nel 2005 è presente al “Banchetto Italiano” Museo nazionale di Bau Tao, Mongolia Cinese e Pechino, presentata da Claudio Strinati. Nel 2006 vince la 57° edizione del premio Michetti curato da Philippe Daverio con l’opera “Passi lontani”. E’ presentata da Oliviero Toscani alla 54° Biennale di Venezia, nel Padiglione Italia, dove espone un’istallazione assieme al padre Alessandro.
Vive e lavora a Roma, è sposata al pittore Giovanni Tommasi Ferroni, con cui condivide lo studio a ridosso dell’orto Botanico, in Trastevere.

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