C’è voluta una settimana e l’indignazione dei cittadini perchè il film d Pippo Mezzapesa “Il paese delle spose infelici”, tratto dal libro di Mario Desiati, arrivasse anche a Martina Franca, nel paese che, nel bene o nel male (dipende dalla coda di paglia) ha ispirato la storia dello scrittore concittadino, finalista allo Strega. Una settimana, tempo che dal cartellone fosse tolto il film “I soliti idioti”, campione di incassi.
Giulio Dilonardo, proprietario del cinema Verdi, che da domani fino a giovedì prossimo proietterà il film di Mezzapesa, ci dice che alla fine è riuscito a portarlo a Martina, ma non poteva prima di domani, per rispettare gli accordi con la distribuzione del film precedente e, anche, perchè in fondo “I soliti idioti” portano un bel po’ di incasso. Alla fine però c’è riuscito, “per Mario”, ma anche per la città, perchè “le polemiche mi hanno spinto a dare una risposta”, ci dice per telefono. Polemiche che, alla fine, hanno fatto molta pubblicità al film. Per la prima, infatti, si aspetta il pienone.
Ma Giulio Dilonardo non è nuovo alle storie che vedono il cinema al centro del dibattito locale. Era suo il cinema Bellini, abbattuto per la costruzione di appartamenti e di locali commerciali, che tanto fece discutere. Glielo ricordiamo, e lui risponde che “l’amministrazione comunale (Conserva, nda) non ha voluto acquistare l’immobile e il cinema era ormai chiuso da anni”. Logica da imprenditore, ma che comunque ha una certa legittimità, che viene fuori quando ci parla di poter fare soldi con la cultura, ovvero, che la cultura non deve essere sempre a perdere, ma può essere un volàno per l’economia. E decidere di proiettare il film una settimana dopo la sua uscita, quando tutti i reali interessati hanno già dato a Massafra, o a Taranto, in qualche maniera significa che davvero alla città ci tiene. Occuparsi del bene comune, e guadagnarci.
Una storia che potrebbe servire da esempio, almeno per due motivi: il primo è che se i cittadini si fanno sentire, possono ottenere dei risultati; il secondo è che esiste una strada alternativa all’economia che può portare crescita anche sociale e culturale. Anche perchè, infine, cosa ci è rimasto?
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