Vandana Shiva è una delle menti più brillanti del XXI secolo, il suo nome è legato all’impegno per la salvaguardia del pianeta e l’utilizzo della scienza per migliorare le condizioni di vita del prossimo. Qualche giorno fa, in un’intervista riportata in Italia dalla rivista Terra Nuova, invitava i giovani a smettere di occupare le piazze e iniziare ad occupare la terra, che è l’unica ricchezza che davvero ci rimane.
Un articoletto, niente di più, eppure ha la capacità di farci ripiombare con la mente a quelle lezioni di storia in cui l’obiettivo delle lotte era la terra, la divisione della terra, la terra ai contadini, la terra a chi la lavora. Argomenti che sembrano lontani anni luce ma che fanno riferimento a fatti successi pochissimi anni fa. La lotta per la terra è storia recente, la lotta contro il latifondo, la lotta con il barone di turno. E per lotta non si intende il picchetto sindacale, ma proprio l’atavica battaglia tra chi lavora e chi trae profitto dal lavoro degli altri.
Martina Franca, in tempi lontani, era una Universitas, disponeva di terra comunale propria in cui si poteva far pascolare il bestiame e raccogliere legna. Ora, questi sono gesti che non ci appartengono più. Di bestiame avremo un gatto pigro perso per casa e per la legna di solito giriamo la manopola dei termosifoni. La legna si compra, alcuni pensano che in natura nasca già tagliata a ciocchi.
Ebbene, una volta non era così, una volta per andare a raccogliere la legna serviva il permesso, altrimenti era amara.
Ripensare alla terra come luogo delle vertenze e della lotta non è una cosa così scontata, ma potrebbe essere una traslazione necessaria perchè la terra è l’unica ricchezza che rimane. Prendiamo Martina Franca: le nuove generazioni di imprenditori e di consulenti aziendali hanno fatto in modo di ridurre la zona industriale da luogo di produzione dei capi di abbigliamento a luogo di distribuzione. Dall’industria al commercio, meno lavoro, più profitto. Nel tempo, questa scelta, si è dimostrata non solo antieconomica, ma totalmente imbecille, perchè non è possibile vendere un cappotto in un territorio in cui la disoccupazione è al 40%. L’arrivo dei cappottari a Martina Franca ha coinciso con un passaggio da un’economia basata sull’agricoltura, sulla produzione di uva da vino, ad un’economia industriale. Ora che l’economia industriale non c’è quasi più, ritornare all’agricoltura sembra una delle scelte più sensate, considerando che abbiamo un territorio talmente vasto che tutta l’economia legata al mondo agricolo rappresenta il 40% del Pil martinese. Basterebbe un piccolo sforzo per alzare l’asticella e, magari, legare l’agricoltura all’enogastronomia e quindi al turismo.
Occupando la terra, appunto, ovvero tornando a guardare verso il settore che potrebbe davvero rappresentare una svolta positiva per la nostra economia.
Ma se la terra può e deve rappresentare il futuro, non si può non dire che da anni subisce un attacco feroce da parte della cementificazione. Basti contare quante vinicole sono rimaste in piedi, vestigia di un passato protoindustriale che da altre parti avrebbero saputo valorizzare, mentre a noi tocca assistere al passaggio di insensibili ruspe che si mangiano pezzo a pezzo la nostra storia.
Il cemento consuma il suolo, lo rende inutilizzabile, lo uccide. Una settimana fa a Bari, presso l’Università, in un incontro organizzato da Costellazione Apulia, un gruppo di geologi ha lanciato l’allarme sul consumo del suolo, su tutte quelle cattive pratiche che lo rendono inutilizzabile. Un suolo morto è incapace di generare vita, quindi di sfamare gli esseri viventi. Un suolo morto porta morte.
Un suolo morto sono le città, per esempio. Secondo i dati del’Istat la Puglia è la regione con la massima estensione media dei centri abitati, oltre un kilometro e mezzo per città ed è una delle regioni in cui il territorio umanizzato raggiunge oltre il 10%, attestandosi ai massimi nazionali.
Non è un allarme quello che Martina News vuole lanciare, ma la richiesta di una riflessione, un ragionamento che rimetta al centro delle scelte economiche e politiche ciò che è naturale che lo sia.
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