Il 16 aprile passato, la Corte di Appello di Lecce ha depositato la sentenza che, attraverso alcune pagine davvero ostiche da comprendere, riconosce l’abusivismo di parte del Grand Hotel Castello ma condanna il Comune a pagare circa duecentosessantacinquemila euro. Dopo una odissea giudiziaria iniziata nel 1985, oggi pare essere ancora punto e a capo. Ma andiamo con ordine, tentando di fare una sintesi di tutta la storia.
Il Grand Hotel Castello che sta al Pergolo è quella grande struttura visibile da ogni parte di Martina Franca, occupando l’orizzonte, da anni colonizza il nostro immaginario, tanto che la maggior parte di noi passa da sotto più volte al giorno senza nemmeno più alzare lo sguardo. Eppure quella costruzione incombe sulle nostre teste con tutto il peso della storia politica locale, perchè è il simbolo stesso di un modo di fare politica a Martina Franca che ha portato la città ad avere diversi disastri del genere.
La storia inizia verso la fine degli anni sessanta, quando a Martina Franca regnava la stirpe dei Motolese, democristiani, due fratelli sindaci a turno e un terzo vescovo di Taranto. Nemmeno i Caracciolo. Alberico Motolese, sindaco dell’epoca decise che Martina Franca doveva diventare un polo sportivo e universitario. Si era in pieno boom economico e il cemento era la dimostrazione della ricchezza di una città. Dopo diverse diatribe politiche, si decise che il terreno su cui doveva sorgere il complesso centro sportivo, che prevedeva campo da calcio, da tennis, palazzetto dello sport, maneggio e un hotel, quindi, era quello del Pergolo. Secondo quanto riportato in “L’astronave diroccata” scritto dal giornalista Pietro Andrea Annicelli e dall’ingegnere Vitantonio Dell’Erba nel 1996, il contratto di cessione dei terreni al Comune venne firmato il 28 giugno 1968, quarantaquattro anni fa esatti.
Il libro citato ci fornisce molte informazioni per comprendere meglio la sentenza di cui andiamo a parlare. Innanzitutto l’impressione che quel pugno nell’occhio in cemento armato sia un frutto tipico del modo di fare politica democristiano ce lo conferma Agostino Quero, a cui fu affidata la prefazione. All’epoca con una stretta di mano il sindaco faceva e disfaceva. Basta ricordarsi di via Trento e di una stretta di mano di cui non ci sono le carte che hanno provocato i danni di cui paghiamo ancora le conseguenze.
Comunque, si era nel 1968, il Comune compra dalla madre di un consigliere comunale (Ninì Serio) i terreni su cui sorgerà il complesso e affida i lavori per la realizzazione del progetto a Giovanni Corrente, costruttore. Il 19 agosto 1972 il Comune e il costruttore stipulano un contratto che diventa, per la nostra storia, una punto di riferimento importante.
Il contratto dice, sostanzialmente, che in cambio di quattro milioni dell’epoca (ventimila euro, più o meno) Corrente entrava in possesso di un ettaro di terreno su cui avrebbe dovuto costruire l’hotel. Anche allora la cifra era più che simbolica, ma il contratto vincolava il costruttore a fare solo un albergo e nient’altro. Il comma c dell’articolo 5 del contratto dice testualmente (citando dal libro di Annicelli e Dell’Erba): “Di destinare permanentemente la costruzione ad albergo-ristorante e servizi annessi“, ovvero che il Comune vende il terreno ma solo per la costruzione di un hotel e mai, in nessun caso, si potrà costruire altro, pena la restituzione di terreno e fabbricato. Il contratto dice anche che, se l’hotel non viene realizzato in due anni, ogni giorno in più costerà di penale 20.000 lire. Un anno dopo Corrente chiede una variante al progetto e ottiene che l’hotel da cento passasse a duecentosessantatre stanze. Una immensità. Il Comune approva e ritarda la data di consegna.
Si arriva al 1977, Corrente chiede una variante ulteriore perchè gli serve spazio e il Comune, nonostante fossero passati cinque anni, tre in più di quanto stipulato nel contratto iniziale, approva di nuovo. L’hotel visto dall’alto ha forma di Y, è enorme, sproporzionato rispetto al luogo, ma si sa, i tempi non erano certamente quelli di oggi, e le sensibilità molto diverse. I lavori sono comunque fermi da due anni, e la variante che viene richiesta non basta. Nel 1982, infatti, i tecnici del Comune si rendono conto che il rustico dell‘hotel grava abusivamente su terreno comunale per ben 1661 metri quadrati. Questo fatto è l’inizio della diatriba che porterà Comune e costruttori in tribunale.
In tribunale ci si arriva il 5 novembre del 1985, il Comune cita in giudizio il proprietario dell’hotel. Nel frattempo i lavori erano bloccati, fermati in maniera arbitraria da Corrente stesso, come dice ad Annicelli:
In definitiva, a metà anni Settanta, si bloccano i lavoro per il Grand Hotel Castello. Perchè non sono mai più stati ripresi?
Perchè visto e considerato che era fallita l’ipotesi di un centro tennistico, io mi chiesi a cosa serviva una struttura così grande. Non c’era possibilità di gestire in termini economicamente utili un simile albergo. Mi sarei indebitato per terminarlo senza una prospettiva sicura di guadagno, con il rischio anzi di doverlo chiudere in breve tempo. Allora fermai i lavori in attesa di risolvere il problema
Quando da bambini si chiedeva ai nostri genitori cosa fosse quella struttura vicino alle scuole superiori, ci veniva detto che era un hotel e quando chiedevamo come mai non fosse terminato, ci rispondevano che “erano finiti i soldi“.
A noi ci pare che il motivo vero del blocco dei lavori fu proprio questo: un progetto mastodontico totalmente fuori luogo in una realtà come Martina Franca che, anche se avesse avuto i fasti di circoli di tennis di prima categoria, non avrebbe avuto bisogno di una struttura con cinquecento posti letto. Tanto che nel tempo si prospettavano diverse destinazioni, da sede universitaria a polo sanitario oppure centro servizi per il tessile.
Ma siamo nel 1985, il Comune cita il proprietario dell’hotel perchè non ha rispettato il comma c dell’articolo 5 del contratto. O meglio non ha tenuto fede agli impegni. L’hotel non solo non è finito, ma hanno anche commesso abusivismo. Come da contratto, il Comune dovrebbe riavere indietro i suoli e il manufatto, oltre alla penale di 20.000 lire al giorno per mancato completamento.
La sentenza di primo grado arriva nel 2008, il primo luglio. Il giudice dà ragione al Comune di Martina Franca dichiarando risolti i contratti con Corrente. Condanna il costruttore a restituire i terreni al Comune, ma non parla di penali, che erano state chieste e soprattutto non parla del rustico, che secondo la sentenza appartiene ancora alla Pergolo srl, subentrata nel 2000 alla Co.Di.Ca, a sua volta subentrata alla Pergolo S.a.s. di Corrente. Il terreno è del Comune ma l’hotel è privato.
Ovviamente il Comune propone l’Appello e contemporaneamente anche la Pergolo srl che nel 2000 ha acquistato per 860.000.000 di lire tutto quanto. Il Comune vuole la struttura e i ternisi.
L’Appello si risolve a dicembre, la sentenza viene pubblicata ad aprile. La corte presieduta dal giudice Alessandrino mette mano ad una causa vecchissima e ha difficoltà evidenti a prendere una decisione, tanto che dichiara, ci riportano le fonti, che sarà difficile emettere sentenza. Da una parte il Comune chiede riscatto, dall’altra la società vorrebbe che il Comune pagasse il manufatto. La cosa migliore sarebbe una transazione ma, come vedremo, questa non sarà possibile.
La sentenza di Appello è un groviglio di ragionamenti e di italiano giudiziario, praticamente incomprensibile per chi non è avvocato, tanto da spingerci ad avere una spiegazione prima da Margiotta, difensore della Pergolo srl e poi da Astolfi, avvocato del Comune. In sintesi, quello che dice il giudice è che i contratti sono risolti, così come dice la sentenza di primo grado, ma il Comune dovrà risarcire la società Pergolo srl con una somma di circa 265.000 euro, dedotta non da una perizia ma dal contratto di vendita tra la Co.Di.Ca. spa e la società tuttora proprietaria. Un accordo terzo, ci dice Astolfi, in cui il Comune non c’entra nulla. Il giudice però calcola che la cifra sarà quella, scontandola del 35%, senza un motivo apparente. Secondo il ragionamento di Alessandrino, se la vendita fosse stata per 10 miliardi, il valore della transazione per il Comune sarebbe stata di sette. Cifre decise tra privati, e non da una stima pubblica, che il giudice non ritiene necessaria. Ma la corte d’appello riconosce anche l’abusivo, che è alla base del processo e condanna la Pergolo srl a restituire al Comune quel pezzo di terreno.
La sentenza di primo grado era a tutti gli effetti ineseguibile, perchè la proprietà del rustico rimaneva alla società privata e non passava al Comune, che chiedeva, tra l’altro, almeno 300.000 euro di penale. Il secondo grado invece riconosce la ragione del Comune, condannando la Pergolo srl a restituire l’abusivo, ma dice che il Comune dovrà pagare circa duecentosessantacinquemila euro, una cifra basata su un contratto di parte, di cui non c’è evidenza pubblica, che il Comune non conosce nemmeno.
La sentenza di Appello è stata emessa in fretta, con l’obiettivo di chiudere una storia vecchia di trent’anni. Lo scrive anche il giudice:
[…] stante l’enorme vetustà della controversia e l’evidente esigenza di consentirne la definizione nel tempo ragionevolmente più breve […]
Ma la fretta è sempre cattiva consigliera. E poi non è chiaro il motivo per cui Alessandrino ha fretta.
Si ricorrerà in Cassazione e passeranno altri anni. Si suppone che si supererà anche il mandato di Franco Ancona che, però, ha promesso agli scout in campagna elettorale di occuparsi degli ecomostri.
Nel frattempo alcune considerazioni. La prima riguarda le proposte di transazione fatte durante gli anni. L’ultima fatta nel 2001, con la Giunta Conserva, di cui vi daremo contezza nei prossimi giorni. La seconda considerazione riguarda il fatto che quel terreno e quel rustico non sono mai stati sottoposti a sequestro, i lavori sarebbero potuti continuare fin da subito. Non farlo significa dimostrare che si hanno altri interessi.
Urge comunque una soluzione, perchè si rischia che il caso diventi la Punta Perotti martinese.
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