La fine del lavoro. Un pm che firma un sequestro e decreta con pochissime tracce d’inchiostro la disoccupazione di migliaia di operai. Operai che scendono in strada, che marciano verso la città fino ad arrivare alla Prefettura. L’Ilva, la più grande acciaieria d’Europa forse chiuderà per sentenza della magistratura, forse il fumo giallastro che offuscava la vista dei due mari dall’Orimini, il “cielo diviso a metà” come ha scritto ieri Mario Desiati (@mario_desiati) su Repubblica, scomparirà per sempre, lasciando la vista libera di vagare dalla Calabria al Salento.
Nell’articolo di Repubblica Mario Desiati centra il problema manco fosse Chomsky. Oggi si è arrivato al tratto di penna che spegne gli altoforni, spazza via i minerali dal parco, perchè finora nessuno è mai intervenuto. Otto sono le persone per cui il gip ha chiesto gli arresti, ma i responsabili sono tanti, sono altri. Sono anche altri. Ma andiamo con ordine: se il gip ha disposto gli arresti vuol dire che si presenta uno dei tre motivi per i quali l’indagato non può essere lasciato a piede libero: reiterazione del reato, inquinamento di prove, pericolo di fuga. Immaginiamo che il motivo, questa volta sia il secondo, considerando la gravità della situazione. E queste sono le responsabilità, per così dire, interne.
Poi ci dovrebbe essere il concorso esterno, quello che Desiati indica citando De Gasperi e la differenza tra politici e statisti. Abbiamo avuto, evidentemente, solo politici finora a guidare il nostro territorio, che hanno pensato all’oggi, alle elezioni e mai alle prossime generazioni. Perchè se vogliamo dirla tutta, la responsabilità è politica, perchè mica lo scopre per prima la Todisco che l’Ilva inquina.
L’inquinamento dell’Ilva è così palese, evidente, che è diventato un meme, un paradigma, un concetto archetipico.
La responsabilità è politica perchè finora si è fatto finta di nulla, perchè era meglio essere eletti con i voti dell’Ilva che rendere conto alle persone uccise ai Tamburi dalla polvere di ferro, alle donne in menopausa precoce, agli allevatori impoveriti dalla diossina, ai morti, decine di migliaia, per tumori e neoplasie. Serviva una strategia, un progetto politico, un’idea capace contemporaneamente di risolvere il problema ambientale e quello occupazionale.
Lavoro e ambiente non sono due opposti, non sempre. In questo caso sì, perchè si semplifica, si generalizza e ci saranno gli operai da una parte e tutto il resto dall’altra. I primi che pretendono di lavorare, i secondi di vivere bene. Ma lavoro e ambiente potevano essere gemelli, viaggiare paralleli su progetti capaci di ripensare Taranto. E invece ci troviamo al tratto di penna, al punto e a capo.
Se dovesse andare come alcuni sperano, che l’Ilva chiuderà l’area a caldo e quindi la produzione, ci sarà il problema del riassorbimento della manodopera e non sarà solo un problema tarantino, sarà un problema territoriale. A Martina Franca l’uomo lavorava all’Ilva e la donna nelle confezioni. Centinaia di coppie, centinaia di famiglie. Ora le confezioni non ci sono più, perchè produrre qui non conviene, come dichiara senza pudore un noto imprenditore locale e l’Ilva chiude perchè ha ucciso, perchè ha compiuto un disastro.
Il problema sarà di Taranto, ma anche di Martina Franca, di Crispiano, di Statte, di Grottaglie, di Manduria, di Locorotondo, di Cisternino. Il problema arriverà in Basilicata e in Salento. I sindaci e gli assessori non facciano finta di nulla, gli operai torneranno nelle loro case e non troveranno nulla da fare, e non sarà il turismo la soluzione, è impensabile immaginare l’apertura di diecimila bed and breakfast.
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