Se chiedete ad uno straniero un nome di un tipico piatto italiano, molto probabilmente vi risponderà “Pasta all’Alfredo“, un nome mai sentito ma pare particolarmente gettonato al di là delle Alpi. La ricetta consiste in pasta con doppio burro e tacchino.
Immangiabile per la maggior parte di noi cresciuto a polpette e braciole. Eppure questo piatto ha molto successo nei ristoranti italiani sparsi per il mondo, tanto che molti clienti si risentono se nel menù manca questa prelibatezza.
Durante l’intervista con Michele Carbotti, manager di sala trapiantato a Singapore dopo un Dubai e Londra, l’aneddoto della pasta all’Alfredo, ci apre un mondo inaspettato. Innanzitutto ci racconta che gli altri ci vedono come ci vogliono vedere, attraverso le loro cornici di significato, che spesso non coincidono con le nostre, ma proprio da queste bisogna partire se si vuole contribuire ad una migliore conoscenza.
Michele Carbotti ci spiega che gli chef italiani in giro per il mondo fanno fatica a presentare i loro piatti se si distanziano troppo dalle aspettative dei clienti, ma quando ce la fanno è un successo garantito. Come quella volta che i genitori di Michele, il padre di Martina, la mamma di Monopoli, sono arrivati a Singapore e al ristorante dove lavorava Michele è stata organizzata la cena martinese. Chi ha partecipato era solo “regular” ovvero i clienti affezionati del ristorante, perchè un evento del genere non può essere aperto a tutti. Il menù è presto detto: capocollo come antipasto, orecchiette e cime di rapa per primo (con le acciughe sfritte), braciole per secondo e ovviamente, bocconotto come dolce. Tutto accompagnato da vino di Martina Franca.
Michele Carbotti ci tiene alla sua terra, tanto da aver contattato Pasquale Lasorsa per chiedergli una mano a promuovere la Valle d’Itria, Martina Franca, perchè dall’altra parte del globo non sanno nemmeno che esiste la Puglia. Lui lavorava in un ristorante che si chiamava Latteria – Mozzarella Bar, che serviva per la maggior parte piatti a base di mozzarella.
Tutti i clienti, quando lui chiedeva se sapesse da dove proviene la burrata, rispondevano “Firenze”, oppure, “Roma”.
Della Puglia niente, non sanno nemmeno che in Italia è la regione in cui il turismo è in continua crescita.
Quindi è tornato in Puglia per le vacanze, accompagnato dalla fidanzata Gita, e ha iniziato a chiedere un po’ in giro per trovare materiale di presentazione della Puglia, magari di Martina Franca. E per il momento si è accontentato di una pubblicazione fatta nell’ambito di un vecchio progetto europeo.
Ma questo non basta. Perchè un conto è convincere i singaporiani a venire a Martina Franca, un conto è offrire loro un servizio adeguato: “Il problema è anche la lingua: a Firenze anche il tabaccaio è in grado di parlare inglese. Gli imprenditori non sono preparati…”
E quindi elenca una serie di differenze tra noi e Singapore. Voglio vedere: Singapore ha il territorio appena tre volte quello di Martina Franca e quasi quattro milioni di abitanti, con un Pil tra i più alti al mondo. E’ un esperimento politico in cui anche i poveri stanno meglio di quanto la loro condizione permetta. Ricchezza diffusa ma non bisogna far domande, almeno secondo l’inchiesta (http://www.jkampfner.net/books.html) fatta da John Kampfner. E non bisogna mangiare chewingum, perchè sono vietate, ma in compenso si può trovare posto nei parcheggi sotto i palazzi privati che con questo si autofinanziano, si va in pensione quando si vuole e i contributi vengono restituiti con un tasso di interesse del 2,5%. E se ti beccano al volante in stato di ebbrezza ti fai un mese di carcere, senza se e senza ma.
Se Martina Franca decide di dedicarsi al turismo, la prima cosa da fare è attrezzarsi per accogliere nel migliore dei modi gli stranieri. Michele propone: “E se il Comune finanziasse un corso di inglese per i ristoratori?”
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