Ilva e giornalisti. Una questione che va oltre l'acciaio

Carlo Vulpio ci ha scritto un libro, sull’Ilva. O contro l’Ilva. Cita dati, dossier spariti, morti. Fa interviste. E non è il primo. A cercare sul web, oppure semplicemente su Youtube, di filmati di denuncia ce ne sono a decine. Oppure basterebbe parlare con un operaio, uno dei tanti che non aspetta altro di rispondere alle domande che anche lui si pone. Carlo Vulpio però ha utilizzato l’Ilva per combattere Vendola e il suo messaggio ha perso di autenticità. Però i dati citati sono veri, dimostrati, confermati…

L’Ilva è lì, maestosa, inquietante: il drago continua a sputare fumo e polvere e nessuno ha mai parlato, finora. Falso. Nessuno ha mai ascoltato. La stampa locale è sempre stata troppo presa a reperire inserzionisti per potersi occupare fino in fondo di quanto accadeva. E poi, perchè farlo? Per il misero stipendio da cronista alla Gazzetta o al Quotidiano? Rischiare di essere fatto fuori dalla redazione se si preparava un grafico con il numero di morti a causa di neoplasie?

Non c’è giustificazione che tenga, se non l’amore per il territorio e la passione per il proprio lavoro, la coscienza che ogni riga pubblicata, sia su carta che sul web, influisce nello scorrere della quotidianità dei lettori, li informa e per questo ne modifica, anche impercettibilmente, le opinioni, i pensieri, le idee.

Basti pensare che probabilmente tra i nostri lettori ce ne sarà uno che non sa che Paola Laforgia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia ha chiesto alla Procura di acquisire gli atti per capire meglio quella frase scambiata tra dirigenti:

La stampa dobbiamo pagarla tutta

Un atto dovuto, da parte dell’Ordine, che non può rimanere con le mani in mano davanti ad una sciagura del genere, considerando che, la questione Ilva potrebbe portare degli sconvolgimenti in tutti gli ambiti. Non solo nelle dirigenze dei giornali, ma nei sindacati, in politica, in città.

Ma la stampa collusa (parolone), meglio “embedded“, al seguito, ce n’è non solo dalle parti dei Tamburi, ma anche nei piccoli paesini di provincia. E da queste pratiche nessuno è immune, per due motivi. Il primo è che l’oggettività non esiste. Chi vi vende oggettività vi sta fregando, alla grande. E il secondo è che la stampa e l’editoria in generale sta vivendo un momento di crisi di cui nessuno vi parla, ma che ha inizio ben prima di Lehman Brothers e che non accenna a mutare, nonostante siano cambiati i mezzi di produzione del lavoro e le generazioni.

Senza tediarvi oltremodo sulle difficoltà economiche di chi fa il mestiere del cronista, senza dirvi che nella professione si accede sempre meno per merito e sempre più per credito relazionale, ovvero raccomandazione, basti guardare i cognomi delle firme di Tg e articoli dei maggiori quotidiani e settimanali, il punto è che una parte di responsabilità ce l’ha il lettore che non pretende qualità dal nostro lavoro. Anzi, che spesso non premia la qualità, ma la quantità, senza rendersi conto che si alimenta in questo modo il circolo vizioso del giornalista embedded che non parla di fatti ma riferisce solo i commenti degli interessati. Un tipo di professionalità che premia subito ma contribuisce a distruggere in seguito. Adesso, però, è facile dirci quanto facciamo schifo. Basta mandare una mail, un tweet, un commento su Facebook. Aiutateci a migliorare.

Naturalmente la maggior parte della responsabilità ce l’ha il livello dirigenziale, che non ha saputo trovare un modello economico alternativo a: pubblicità+vendite+abbonamenti, un modello ormai da accantonare, soprattutto perchè con il web l’informazione è gratuita e non avrebbe senso mettere un prezzo all’articolo. Rimane la pubblicità, quindi. E proprio per questo come si fa a scontentare un inserzionista che sostiene con i suoi soldi il lavoro? E’ una domanda che trova risposta solo se si accetta di assumere il punto di vista americano sulla questione: l’informazione è servizio pubblico, tanto quanto la sanità e l’educazione. Non può essere lasciata in mano a pochi gruppi di interessi privati, ma deve essere di sostenuta dal pubblico. E per pubblico intendiamo tutti coloro che leggono.

Chiedetevi chi ci paga. Noi vi risponderemo per chi lavoriamo.

 

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