Greg: vi presento il mio Swing

*di Vincenzo Salamina e Domenico Carriero

Artista eclettico, da comico ad attore cinematografico e teatrale, ha pubblicato di recente “A Swingin’ Affaire” con la collaborazione di Max Pirone e dei suoi Fatbones.

Greg, è appena uscito “A Swingin’ Affaire” dove interpreti i grandi classici Swing. Parlaci di questo progetto,  partire dal titolo.

Il termine Affaire, si usa normalmente per i “love affaire”, per le storie d’amore, quando c’è un flirt, un intrallazzo, una tresca amorosa, e in questo caso l’affaire è con lo swing. Mercé mio padre, che era appassionato di musica, a cinque anni ascoltavo i suoi dischi, e mi sono appassionato, fino ai quattordici anni, di un particolare tipo di Jazz, quello delle origini, il New Orleans degli anni ‘10 e ’20. Mio padre era molto appassionato di Swing: andava da Glenn Miller a Tommy Dorsey, da Benny Goodman ad Artie Shaw, da Jimmy Dorsey a Woody Herman, ma quel genere lì, benché io lo apprezzi, non mi ha mai entusiasmato. Sono rimasto invece sempre colpito dallo Swing a cavallo tra gli anni ‘50 e ’60, che era quello dei crooner, Frank Sinatra, Dean Martin, Tony Bennet, Bobby Darin, anche Andy Williams leggermente più avanti: era un modo di fare Swing molto salottiero, dove non c’erano virtuosismi musicali e senza grandi assoli. Tutto ciò me lo sono portato dietro fino ai quattordici anni, quando ho scoperto il rock ’n’ roll, che è la mia passione principale. Massimo Pirone lo conosco da metà degli anni ’90, e un paio di anni fa mi ha detto: “dato che siamo appassionati tu di Frank Sinatra e io di Dean Martin, perché non mettiamo su una situazione musicale in cui fare questo genere?” Abbiamo fatto un po’ di concerti con l’intera orchestra da diciassette elementi, che è difficile da portare in giro, e quindi abbiamo anche messo su le formazioni ridotte di cinque, sei elementi: i Five Freshmen e i Fatbones. Questo disco è stato realizzato con i Fatbones perche l’anno scorso il coraggiosissimo Francesco Comunale ha deciso di produrcelo e siamo entrati in sala per registrare questi brani. I Fatbones suonano con batteria, organo Hammond, senza basso, e quattro tromboni che intessono le armonie e fanno il tappeto di fiati.

Hai citato i grandi crooner americani, ma anche in Italia abbiamo avuto celebri esponenti.

Direi Bruno Martino, Lelio Luttazzi, Johnny Dorelli, ma anche, qualche anno dopo, Claudio Lippi che, prima di essere conduttore televisivo, iniziò come cantante facendo una versione italiana di “Everybody loves somebody”. Da decenni a questa parte, nel piano bar il pianista fa canzoni che spaziano in qualsiasi tipo di genere musicale tentando di imitare la voce del cantante, mentre all’epoca il pianista eseguiva repertorio proprio e riproponeva in chiave Jazz molte delle canzoni originali americane. Il cantante Jazz nei primi anni si esibiva col megafono per sovrastare gli strumenti; quando poi si è raggiunta una tecnologia nei microfoni, poteva anche non urlare e concedersi delle sfumature che prima erano impensabili. Questo genere ha avuto molto riscontro nel periodo di Las Vegas, cittadina che si dice essere stata costruita dalla mafia italo-americana. C’erano parecchi cognomi italiani che gravitavano lì: Dean Martin era lo pseudonimo di Dino Crocetti, lo stesso Frank Sinatra, Tony Bennet si chiamava Anthony Dominick Benedetto, cantanti che offrivano uno spettacolo di intrattenimento molto piacevole, con belle orchestre, e cantavano e intrattenevano il pubblico con gag, aneddoti, e poi era un periodo in cui si poteva fumare nei locali. Con whisky e sigarette ci si intratteneva bene [ride].

Greg questo disco esce dopo molti concerti Swing. Come avete scelto il repertorio contenuto nel disco?

Abbiamo fatto tanti concerti fino a che si è potuto, anche la scorsa estate, avendo “aperto le gabbie” per un po’ e potendo suonare in spazi aperti: questo ci ha permesso di rodare sempre meglio la band. Il repertorio viene, quindi, molto dall’esperienza dei live, perché ci siamo accorti che, suonandoli, alcuni brani venivano moto bene e già si è creato un repertorio su questo. C’è differenza tra la musica dal vivo e quella sul disco: dal vivo c’è l’empatia del pubblico, c’è un impatto differente. Sul disco devi compensare la minor vigoria dal vivo con un arrangiamento più curato, con sfumature differenti. Ci siamo anche basati molto sulle canzoni che ho tradotto e riadattato in italiano, che potevano risultare anche chicche particolari del disco. Ad esempio, per “The best is to come” mi sono ispirato alla versione di Tony Bennet che mi ha sempre colpito perché le conferisce una interpretazione molto sentita: io l’ho fatta diventare “Il meglio vien tra un po’”. Poi scelgo le canzoni che si prestano bene all’uso del lessico italiano che, secondo me, è il peggiore per cantare dato che in italiano ci sono poche parole tronche, che invece abbondano nell’inglese. Questa è stata sempre una sfida perché, dalla fine degli anni ’70, mi diverto a scrivere canzoni in italiano che si ispirano alla musica americana. In questa ho conservato il sapore della lirica originale: parla di una storia d’amore che sta iniziando e mi sono immaginato una sorta di dichiarazione d’amore di lui che dice che la storia è appena iniziata. “Gentle on my mind” è stata riadattata anche in “Tempi immemori”, per la quale non mi sono attenuto al testo e ho attuato uno stravolgimento che avesse però delle assonanze al testo originale. Siccome nella versione originale si canta più volte la parola memory, in italiano veniva bene riadattarla con immemori. Nel disco anche “The Qua Qua Dance”, che già da tempo porto in giro. Per questa, portata al successo da Romina Power con “Il ballo del qua qua”, e per “Heidi”, successo di Elisabetta Viviani, mi sono immaginato come Frank Sinatra o Dean Martin le avrebbero cantate. Frank è arrivato a sancire la sua magnificenza e negli anni ‘70 era venerato come un oracolo della canzone, tanto che si permetteva di interpretare delle canzoni che non c’entravano niente con il suo genere. 

Uno dei tuoi ultimi lavori, nel 2018, è stata una collaborazione con il “The Million Euro Quartet” nella compilation “Rockabilly made in Italy vol. 3”, registrata agli studios della Sun Record, dove hanno registrato Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Carl Perkins. Come avviene questo featuring e che emozione si prova a varcare la soglia del tempio del Rock’n’roll americano?

Io ebbi modo di visitare la Sun Record a Memphis già nel 2001 e mi fece un grandissimo effetto. Poi tre anni fa, il mio carissimo amico catanese Mario Monterosso, che voleva fare il musicista a tutto tondo e si è trasferito a Memphis, chiamò me e altri due musicisti Rock ‘n’ roll della scena, Antonio Sorgentone, pianista, e Diego Geraci, chitarrista, proponendoci di mettere su un quartetto. Un giorno del ’56, quando Elvis aveva già compiuto il balzo nella notorietà passando alla RCA, tornò a trovare gli amici alla Sun Record e, divertendosi a cantare delle canzoni con essi, lo registrarono. Parecchi anni dopo incisero queste registrazioni e le chiamarono “The One Million Dollar Quartet”. Quindi Mario ci ha proposto di fare una cosa simile, magari chiamandoci “million euro quartet”. Siamo andati a Memphis e abbiamo registrato un album con dieci brani. Per un appassionato come me di Rock ‘n’ roll, la sensazione è stata meravigliosa perché vedi gli studi che hai visto nelle foto e nei film, vedi gli stessi pannelli fonoassorbenti, il pianoforte in verticale era quello di Jerry Lee Lewis, con altre memorabilia. Tu sei lì e registri alla vecchia maniera: ti mettono i microfoni e i pannelli e registri in diretta e da questo disco hanno estrapolato un brano e messo su una magnifica raccolta di rockabilly made in Italy.

Hai cominciato con il Blues, e il Rockabilly per arrivare allo Swing. Come nasce la passione per il Rock ‘n’ roll

Dicevo all’inizio dei miei ascolti fino a quattordici anni; a quell’età vado casualmente in un cinema qui a Roma a vedere un film di cui non sapevo nulla, “American Graffiti”, che inizia con “Rock around the clock” e vidi la luce! Sono entrato a quattordici anni nel mondo del Rock ‘n’ roll, e per quindici anni non ho ascoltato che Rock ‘n’ roll o musiche limitrofe. Recuperai subito il disco di “American Graffiti”, e lo registrai sulle musicassette, ed ero particolarmente colpito da Buddy Holly, che cantò due canzoni, e mi comprai il suo primo disco che è stato sempre il mio faro illuminante del mio percorso. 

Nel 1979 la tua prima band fino a “Latte e i suoi derivati”, dove è con te Lillo: da dove viene questo nome?

Era il 1991 e si doveva scegliere il nome del gruppo, per poi debuttare nel 1992. Sotto casa mia c’era parcheggiato un furgoncino con su scritto “Latte e i derivati”. Ero suggestionato da queste accoppiate musicali, tipo “Fred Buscaglione i suoi Asternovas”, “Peppino Di Capri e i suoi Rockers”, e quindi “Latte e i suoi derivati”. Ad oggi facciamo quattro concerti l’anno ma il gruppo è in essere ed ho scritto tanti brani nuovi in questi anni, e infatti abbiamo iniziato a fare la pre-produzione del disco, contenente brani nuovi di pacca e tanti altri che facciamo dal vivo. Noi dal 1998, data dell’ultimo disco, abbiamo proposto tanti brani fatti regolarmente dal vivo ma mai messi su un supporto fonografico. Vorremmo quindi fare un disco doppio con brani nuovi, brani nuovissimi e riadattamenti di brani storici che hanno bisogno di una oliatina. Questo gruppo nasce dal destino comune avuto con Lillo. Io lo incontro nel 1986 in una redazione di fumetti, perché noi nasciamo come fumettisti. Io facevo parte della redazione, pubblicavo i fumetti, scrivevo articoli, impaginavo, mentre Lillo era freelance e portava i suoi fumetti: io ero selezionatore dei fumetti e glieli pubblicavo. Avevamo la stessa affinità per il senso dell’umorismo. Nel 1991 crolla la casa editrice e noi siamo rimasti sulla strada: alcuni hanno costituito la scuola romana di fumetti e altri, come noi, hanno messo su il gruppo musicale. Io avevo scritto canzoni comiche che facevo per gli amici: abbiamo messo su il gruppo e il nostro primo concerto nel ’92 per una gara musicale di gruppi comici romani: vincemmo il primo premio, che ci diede lo sprono per andare avanti.

Ti ringraziamo Greg e non vediamo l’ora di vederti in giro per l’Italia con il tuo spettacolo Swing da vero crooner.

Grazie a voi ed un saluto ai lettori di Valle d’Itria News.

*Vincenzo Salamina e Domenico Carriero sono appassionati di musica e hanno un canale su Youtube chiamato Music Challenge (che potete seguire qui). Inoltre hanno una pagina Facebook sulla quale trasmettono in diretta le loro interviste (raggiungibile da qui). Con ValleditriaNews condividono amichevolmente le interviste a musicisti e artisti noti o meno della scena musicale italiana.

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