Una prospettiva diversa sulla movida

Un mese fa, a causa delle solite alchimie algoritmiche, Repubblica pubblica un articolo sulla chiusura dello storico Bar Tripoli. A poche ore dalla pubblicazione, l’avvocato dei titolari, Vito Antonio Scarcia, pubblica sul suo profilo Facebook un testo in cui spiega – in avvocatese – cosa sta accadendo: “Nel rispetto del rapporto di colleganza con i difensori che rappresentano i comproprietari dei locali adibiti a bar-pasticceria, posso pacificamente dichiarare che pendono trattative finalizzate alla rinegoziazione del rapporto di locazione commerciale, perdurante da epoca immemorabile, alla luce delle sentenze emesse nel doppio grado di giudizio dalla Magistratura ionica”. In sintesi: i proprietari dei locali del bar, una nota famiglia martinese, vorrebbero modificare gli importi mensili e i gestori non ci stanno.

Se si fa una rapida ricerca sul web, è possibile constatare che i canoni mensili dei locali commerciali nel centro storico, in particolare nel Ringo, sono quasi tre volte rispetto al resto della città. La zona è di pregio, attrae da sola l’attenzione dei turisti e dei residenti, e qualunque attività vi apra avrà una difficoltà minore ad attrarre pubblico. Complice anche una certa propensione alla rendita e l’assenza di strumenti che colpiscono coloro che preferiscono tenere i locali abbandonati, i fitti alti favoriscono l’insediamento di attività che fanno circolare molto denaro: un cocktail bar, ad esempio, avrà meno difficoltà di un artigiano o di un sarto a tirar fuori mensilmente mille euro, o tremila euro. Il mercato definisce lo sviluppo di un luogo, se non viene regolamentato, se non c’è una chiara politica di sviluppo.

Nel 2018 il Comune ha provato a regolamentare l’apertura delle attività di somministrazione nel centro storico, varando il famigerato regolamento a punti. Per avere una nuova licenza occorre raccogliere almeno 50 punti. Nel 2018 però il conflitto tra la movida e i residenti non era ancora scoppiato e quello che contava era “valorizzare” il centro storico, indicando criteri qualitativi e non solo quantitativi (e qui bisognerebbe aprire una parentesi su cosa si intenda per “valore”). Se si leggono i criteri si può immaginare da dove provengano questo tipo di richieste e che priorità avevano per gli Amministratori, all’epoca. Si sa, ad esempio, che il centro storico è scarso a parcheggi, quindi se si mette a disposizione uno spazio per far parcheggiare i clienti, si ottengono 7 punti. 15 invece per un locale da destinare a contenere la raccolta differenziata (quindi un altro affitto da pagare). Non è troppo complicato raggiungere i 50 punti: di fatto basta avere un buon capitale a disposizione e tutto si risolve. Abbiamo di seguito fatto alcuni esempi:

Scenario 1Scenario 2Scenario 3
Parcheggio7
Diversabili55
Energia sostenibile4
Climatizzazione5555
Magazzino777
Prodotti tipici nel menu7777
Menu in inglese3333
Menu in francese3333
Menu in tedesco3333
Menu in spagnolo3333
Celiaci e diabetici4444
Vini locali4444
Sito internet2222
Corsi di aggiornamento4444
Accorgimenti impatto acustico5
Slot machine-7
Raccolta differenziata15151515
Fasciatoio2222

Il capitale, quindi, è il vero discrimine: se hai abbastanza denaro puoi aprire un locale pubblico nel centro storico.

Nel 2018 il legislatore locale si poneva comunque il problema della convivenza tra locali notturni e diritti dei residenti, ma risolse così: “Alla luce di quanto sopra, in via prioritaria si sancisce che una limitazione delle aperture, fondata su presupposti vietati dalla direttiva comunitaria, non è più ammessa. L’Amministrazione di Martina Franca non prende in esame misure regolatorie che incidono direttamente o indirettamente sull’equilibrio tra domanda e offerta, bensì introduce solo criteri fondati sulla necessità di salvaguardare e riqualificare le zone di pregio artistico, storico, architettonico, archeologico e ambientale, nonché di assicurare il diritto dei residenti alla vivibilità dell’ambiente urbano oltre che il rispetto dell’ordine pubblico e della salute pubblica. Sulla base dei predetti presupposti sono stati individuati, pertanto, meccanismi di programmazione fondati su criteri di qualità e di fruibilità del servizio in grado di promuovere sviluppo e garantire l’equilibrio degli interessi coinvolti”.

Ma le priorità erano altre, come dimostra in maniera plastica il valore in termini di punteggio attribuito a ciascuna voce: la raccolta differenziata, nel 2018, era una questione prioritaria, e non la si dava per scontato come oggi. Così, evidentemente, era stato ritenuto più importante avere un climatizzatore che un dipendente aggiornato.

Come abbiamo visto, però, i diversi requisiti sono raggiungibili in base alla disponibilità di capitale da investire, e questa scelta, fatta all’epoca in buona fede, ha inciso sullo sviluppo commerciale del centro antico, favorendo da un lato l’arrivo di attività capaci di far circolare molto denaro, dall’altro un certo aumento della rendita degli immobili, e di conseguenza un maggior potere dei proprietari. Il Tripoli è una delle vittime eccellenti.

Interessante è analizzare il problema di gestione della movida dal punto di vista economico. Abbiamo visto che le scelte amministrative incidono sullo sviluppo, anche quando si sancisce che non si vuole farlo: per aprire un locale nel centro storico occorre molto capitale e il valore dei localetti aumenta, a discapito di chi, ad esempio giovani artigiani, avrebbe voglia di sfruttare quel capitale comune che è la bellezza del nostro centro antico. Solo chi ha disponibilità può partecipare ai dividendi (è il capitalismo, no?). E non è nemmeno detto che un cocktail bar incassi abbastanza per pagare le spese. Immaginate un artigiano che produce cestini in vimini, o ceramiche particolari.

D’altronde, però, senza alcuni giovani imprenditori martinesi che hanno aperto la loro attività nel centro storico di Martina Franca, non ci sarebbe stato questo repentino exploit. A loro va il merito, a prescindere, di aver colto un’occasione e forse meriterebbero una maggior tutela rispetto a chi si comporta slealmente.

L’arrivo di avventori grazie alla presenza di locali pubblici, attira altri locali pubblici: se i clienti si concentrano tutti in un posto, è conveniente essere presenti. A sentire i gestori e i proprietari dei locali, il problema della musica alta è determinato dalla competizione in corso tra i diversi locali che si affacciano nel ringo, e in particolare ai Portici. Secondo loro si giocherebbero i clienti attraverso la musica. Il risultato è che di anno in anno la situazione è sempre più ingarbugliata da districare.

Il 27 luglio scorso, forse troppo ingenuamente, il Tavolo permanente per il centro storico, salutava con entusiasmo la proposta di Palazzo Ducale di emanare una ordinanza che inasprisse le sanzioni (fino alla chiusura del locale) per chi non rispetta le leggi in materia di emissioni sonore. Nonostante l’estensione della possibilità di mettere musica fino all’1.00 di notte, si è andati ben oltre (e ci sono video a dimostrarlo). L’ordinanza sindacale ha valore in generale: tutte le forze dell’ordine possono verificarne l’applicazione. E qui torniamo a parlare di economia e di fondi.

Nella stessa seduta del Tavolo, come chiesto da febbraio scorso, tutti i partecipanti – all’unanimità – hanno chiesto che si costituisse un presidio notturno della Polizia Locale presso la Torre dell’Orologio. Per farlo però occorreva aver incassato almeno lo stesso importo di multe rispetto all’anno precedente, un requisito che il Comune non aveva. Senza fondi a disposizione per progetti speciali, quindi, il presidio non è stato possibile, salvo garantire la presenza di almeno tre agenti durante i weekend, fino a mezzanotte. Prestazioni straordinarie a cui davvero pochi hanno deciso di aderire, costringendo anche la comandante Piccoli a scendere in strada, per coprire i turni.

Ma non è solo la Polizia Locale a soffrire una mancanza di fondi. Come noto, il territorio di Martina Franca è tra i più estesi d’Italia. Per coprirlo, di notte, ci sono solo due pattuglie: una della Polizia e una dei Carabinieri. Quasi trecento kmq (più di Taranto) di territorio coperti da due pattuglie. Ammesso la disponibilità di una delle due a intervenire in caso di disturbo della quiete pubblica, mentre magari è in atto una lite violenta in famiglia, o un furto in campagna, secondo voi, quale sarebbe la priorità? Mancano i fondi, quindi, per le pattuglie, per i turni, per il personale. Di fatto, con la Polizia Locale che non può – ancora – organizzare turni notturni, e le altre forze dell’ordine statali inchiodate dalla mancanza di economie, si deve sperare che per strada non accada nulla di grave. Ma sappiamo che non è così.

Nella notte tra il 20 e il 21 agosto scorso un cittadino di Martina Franca, all’1.08 ha chiamato il 112 per segnalare musica ad alto volume. La scadenza dell’ordinanza era passata, ma la discoteca ai Portici sembrava essere nel vivo della serata. Secondo l’autore della telefonata, ci sarebbero stati tre passaggi prima che venisse messo in contatto con Martina Franca, con una centralinista a dir suo “poco cordiale”. Quella telefonata è stata gestita dalla sala operativa di Taranto, che a quell’ora coordina anche le pattuglie di Martina Franca. È la sala operativa che decide se inviare o meno uomini su un luogo. Secondo le nostre fonti sarebbero stati due gli interventi notturni nel centro storico. Il problema, ci raccontano altre fonti, è l’assenza della sorpresa: quando si arriva sul luogo di solito la musica è stata abbassata.

L’ordinanza, salutata con entusiasmo dal Tavolo, anche dagli stessi commercianti che finalmente speravano in un discrimine tra chi fa il proprio lavoro onestamente e gli altri, di fatto non riesce ad essere verificata, per i motivi di cui sopra. Il risultato è una ennesima legge che viene rispettata da chi di solito rispetta le regole e puntualmente ignorata da chi finora ha dimostrato scarso rispetto per i luoghi e per le persone che vi abitano.

Per risolvere la questione, sempre più ingarbugliata, occorrerebbe un’azione corale, un approccio complesso, sostenuta dalla presenza civile della città. Ma soprattutto guardare la vicenda non più come una questione di diritti e doveri, ma come un problema economico: affitti più alla portata permetterebbero l’apertura di attività artigianali, una voce maggiore del bilancio comunale per la polizia locale e magari una pressione sulla Prefettura perché si faccia portavoce con il Governo per un aumento dei fondi per la sicurezza notturna.

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